Un progetto ambizioso, un sogno che si è trasformato in una realtà di successo. Questo è Timbuktu, la prima rivista su iPad per bambini, progettata per stimolare il desiderio di conoscere, la creatività e l’immaginazione. Un mezzo digitale e innovativo che fa dell’interazione uno strumento per apprendere in maniera divertente, attraverso un uso della tecnologia intuitivo, semplice e coinvolgente.

Nato dalla passione di due italiane, Elena Favilli e Francesca Cavallo, il progetto si è rivelato un’idea vincente in cui le due giovani fondatrici hanno creduto sin dagli inizi e a cui hanno lavorato per renderlo un prodotto davvero a misura di bambino.

Oggi qui con noi abbiamo Francesca Cavallo, le abbiamo chiesto di raccontarci qualcosa dì più del progetto e delle persone che hanno reso possibile la sua realizzazione…

 

Ciao Francesca, ci racconti come nasce il vostro progetto?

L’idea è nata nel 2011 dalla tesi di laurea sul giornalismo digitale della CEO e co-fondatrice di Timbuktu, Elena Favilli. La sua tesi – sviluppata tra l’università di Bologna e la Berkeley Graduate School of Journalism in California – è stata selezionata da Telecom Working Capital, un concorso per trasformare tesi di laurea in idee imprenditoriali. Elena ha partecipato al concorso e ha vinto un premio di 20.000 euro per lavorare sull’idea di un magazine di nuova generazione per iPad. Abbiamo iniziato a lavorarci insieme da subito, decidendo che per costruire un progetto editoriale davvero innovativo, dovevamo partire dai bambini. La nostra passione era, ed è, il racconto del mondo come uno strumento di libertà e consapevolezza, quindi abbiamo pensato a un magazine che prendesse spunto dalle news e dall’attualità, per aiutare i bambini a usare l’immaginazione come uno strumento di conoscenza del mondo.

Da dove viene il nome Timbuktu, ha un significato particolare?

Timbuktu è una delle più remote città del mondo. Un luogo così esotico da sembrare quasi immaginario. Però c’è! Ci piaceva per cui dare al nostro progetto il nome di un luogo così evocativo, che molti associano all’infanzia (anche perché è il posto in cui il maggiordomo cerca di spedire gli Aristogatti!). 

 

Tecnologia e creatività per un progetto educativo, ti va di spiegarci meglio i suoi obiettivi?

Il nostro obiettivo è sempre stato quello di mettere la tecnologia a servizio di un cambio di paradigma nel mondo dell’educazione: l’avvento dei dispositivi mobile rappresenta una grossa opportunità di innovazione non soltanto su COME si può imparare, ma anche su COSA si può imparare. Per questo ci interessa molto il concetto di pedagogia mobile. La pedagogia mobile è un tipo di approccio in cui non ci si accontenta soltanto di creare giochi per imparare in modo divertente, ma si usano le potenzialità del mobile per mettere i bambini davanti a problemi complessi che non sono stati pre-risolti per loro. Per esempio, in un gioco per imparare le frazioni, il rapporto tra genitore/insegnante e bambino/allievo rimane un rapporto tradizionale: io so cosa sono le frazioni, tu no, ed io t’insegno – in un modo divertente – di che cosa si tratta e come farle.

Il nostro approccio è radicalmente diverso: creiamo prodotti che aiutano adulti e bambini a confrontarsi su un nuovo terreno. I nostri prodotti mettono i bambini davanti a un problema complesso, e invitano gli adulti a lavorare insieme ai più piccoli per affrontare questi problemi, individuandone le criticità, ma rimanendo estremamente aperti alle soluzioni possibili. In questo modo, i bambini non vengono abituati a pensare che ci sia qualcuno – lo sviluppatore, l’insegnante, il genitore – che ha sempre tutte le risposte, e che bisogna trovare la risposta “giusta”. Quello che accade invece è che si allenano ad affrontare la scuola e la vita con l’entusiasmo di un puzzle da risolvere in cui nessuno ha le risposte, ma si trova la strada attraverso tentativi, fallimenti, ripartenze, e collaborazione con gli altri.

 

 

Le storie che raccontate prendono spunto dalla realtà, c’è un motivo?

Sì. Il ciclo di produzione dei libri di testo ha finora molto condizionato la definizione dei programmi nelle scuole. Ci siamo sempre lamentati del fatto che non solo l’attualità, ma neanche la storia recente trovasse posto nei programmi scolastici. Questo limite è oggi superato. Attraverso la tecnologia dei dispositivi mobili è possibile fornire ai bambini degli strumenti che gli mostrino l’impatto che quello che stanno studiando ha sul mondo che li circonda, adesso.

Crediamo che questo sia estremamente importante per motivare i bambini a imparare attivamente, non perché è un loro obbligo, ma perché imparare, leggere, giocare, li aiuta a costruire un senso di ciò che nel presente sta accadendo intorno a loro.

 

Per che età è consigliato?

Timbuktu è consigliata per i bambini dai 6 ai 10 anni.

 

Timbuktu dopo due anni in inglese ha iniziato a pubblicare anche in italiano, cosa vi ha portato a questa scelta?

Innanzitutto il desiderio di poter dare una risposta a tutti quei lettori italiani che amavano Timbuktu ma non riuscivano a condividerla con i propri bambini per l’ostacolo della lingua. Poi senz’altro un ulteriore incentivo è stato la collaborazione con Il Corriere della Sera, che ha deciso di essere nostro partner per la distribuzione in Italia (ndr Timbuktu dallo scorso settembre è l’inserto digitale de Il Corriere della Sera)

 

Dalla vostra esperienza, com’è il rapporto tra bambini, genitori e tecnologia in Italia? Quali le somiglianze e le differenze con gli altri paesi?

L’Italia è un mercato in veloce trasformazione, ma ancora abbastanza giovane in Italia. Si trasforma giorno per giorno e noi siamo molto contente del coinvolgimento dei nostri lettori italiani! Rispetto agli Stati Uniti, i genitori italiani passano molto più tempo con i bambini, e questo è senz’altro molto positivo. Mentre i bambini americani tendono a usare Timbuktu di più da soli, tanti genitori italiani ci scrivono entusiasti degli spunti di conversazione che nascono in famiglia attraverso l’uso della rivista, e di questo siamo felicissime!

 

Da chi è composto il vostro team che ci sembra capire essere davvero multiculturale?

Sì, siamo un team molto internazionale! Siamo di base a San Francisco.

Io sono la direttrice creativa della rivista, e prima di Timbuktu ho sempre lavorato come regista e autrice teatrale (il mio ultimo spettacolo per le scuole, Somari, ha vinto molti premi in Italia ed è stato in tournee per gli ultimi tre anni); Elena Favilli (CEO) è una giornalista professionista, e ha lavorato per diverse testate sia in Italia che negli Stati Uniti; Samuele Motta, il nostro art director è uno straordinario graphic designer, ed è base a Milano. Poi c’è un animatore, Hanna Abi Hanna, che è libanese, ma vive a San Francisco, così come il nostro CTO, Trevor Lundeen, che è americano.

 

Come si può accedere a Timbuktu?

Timbuktu si può scaricare gratuitamente sull’iPad a questo link. Una volta scaricata c’e’ una settimana gratis per provare l’ultimo numero disponibile. Dopo una settimana, si può scegliere se sottoscrivere un abbonamento mensile oppure annuale. Esce un nuovo numero ogni 15 del mese e l’abbonamento dà accesso anche a tutto l’archivio dei numeri precedenti.

Se non avete l’iPad, ma avete l’iPhone invece potete provare le altre nostre app per iPhone e iPad, in particolare ne abbiamo appena lanciata una che si chiama Timbuktu Halloween, e permette di creare un castello stregato sul proprio tablet o telefono.

 

Avete già ricevuto moltissimi premi e Timbuktu è stata inserita fra le app della categoria education più popolari nella classifica statunitense. Cosa sognate per il futuro?

Sogniamo un cartone, e ci stiamo lavorando!

Aspettiamo il cartone allora! Intanto complimenti a Francesca ed Elena per la loro determinazione e per aver condiviso con noi la loro storia.

 

 

Author

Digital Lover e socialmediaholic, da sempre web addicted e dal 2007 anche mamma (acrobata) di Arianna e dal 2012 di Micol. Mammeacrobate è la mia terza creatura! Qualcosa di me la trovi anche qui www.manuelacervetti.com

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