Le differenze tra figlio nato al di fuori del matrimonio e figlio di una coppia sposata sono, oramai, scomparse. Con la legge 219/2012 ed il D.Lgs. 154/2013, infatti, si è equiparato a tutti gli effetti lo status di figlio naturale (nato al di fuori del matrimonio) a quello di figlio legittimo.
I genitori sia che convivano, sia che si sposino, sia che si separino, hanno nei confronti dei figli, sempre e in ogni caso, il diritto-dovere di mantenerli, educarli, provvedere alla loro istruzione e ai loro bisogni affettivi, offrire loro una crescita sana e serena.
Le differenze, perciò, tra coppie di fatto e coppie unite in matrimonio non riguardano, dal punto di vista giuridico, il rapporto genitori-figli (FINALMENTE!) ma esclusivamente i rapporti tra i due partner.
La coppia sposata, riceve dalla legge italiana una serie di “tutele”: vale a dire la legge attribuisce ai coniugi certi diritti (ad esempio: assegno di mantenimento, pensione di reversibilità, possibilità di ereditare ecc.). I diritti sono correlati a doveri, quindi, la legge richiede ai coniugi alcuni impegni: l’obbligo di fedeltà, di assistenza morale e materiale, di agire, per dirla in breve, nell’interesse superiore della famiglia.
Chi sceglie la convivenza, non ha i diritti previsti per i coniugi, e non ha, allo stesso modo, i doveri. Certamente la fedeltà, il contribuire ai bisogni materiali e morali è un obbligo di legge, ma è anche obbligo morale.
Se uno dei coniugi (o dei conviventi) non provvede più alle spese di famiglia, una persona coniugata, sarà responsabile davanti alla legge, e perciò perseguibile, per le inadempienze nei confronti dei figli e del coniuge. Nel caso di convivenza, invece, sarà responsabile solo nei confronti dei figli.
Molte coppie decidono diconvivere, senza sposarsi, o per libera scelta o perché uno o entrambi i componenti vengono da un’esperienza matrimoniale precedente. Sono le cosiddette famiglie di fatto.
Con il matrimonio i coniugi acquisiscono diritti e doveri stabiliti dalla legge. Le coppie di fatto, invece, per poter far valere alcuni di questi diritti, devono dimostrare di vivere “more uxorio”. L’unico documento che attesta legalmente la convivenza è il certificato di stato di famiglia che deve essere richiesto all’ufficio anagrafe del comune di residenza.
Ai fini anagrafici la famiglia è definita dall’art. 4 del Decreto del Presidente della Repubblica n. 223 del 1989 secondo cui:
“Agli effetti anagrafici per famiglia si intende un insieme di persone legate da vincoli di matrimonio, parentela, affinità, adozione, tutela o da vincoli affettivi, coabitanti ed aventi dimora abituale nello stesso comune”.
La legge prevede inoltre che i conviventi possano attestare questa loro condizione anche per mezzo di un’autocertificazione.
Il certificato che attesta la convivenza è utile ad esempio per l’assegnazione di un alloggio popolare o per ottenere congedi lavorativi. Infatti la legge n. 53/2000 ed il Decreto Legislativo 151/2001, sui congedi parentali, riconoscono al lavoratore e alla lavoratrice il diritto a un permesso retribuito di tre giorni all’anno in caso di decesso o di documentata grave infermità del coniuge, dei figli o di un parente entro il secondo grado o del convivente, purché la stabile convivenza risulti da certificazione anagrafica.
Anche se le famiglie di fatto sono in costante aumento, la normativa in proposito è limitata. Tuttavia ci sono numerose sentenze da cui è possibile trarre alcuni principi fondamentali di orientamento in materia.
Nell’ipotesi di convivenza va evidenziato che:
- in caso di decesso di uno dei due genitori la pensione di reversibilità – se dovuta – viene riconosciuta ai figli (mentre non è riconosciuta al convivente);
- in caso di “separazione” tra i genitori la legge garantisce l’assegno di mantenimento per i figli (nulla, invece, per il/la compagno/a);
- sono riconosciuti tutti i diritti per eredi legittimi quali i figli, i genitori, i fratelli e le sorelle, mentre nulla è previsto per il convivente, a meno che, chi muore non lasci un testamento in cui disponga della quota disponibile a favore del/la proprio/a compagno/a;
- non è possibile per i conviventi scegliere il regime patrimoniale della comunione dei beni (cointestando i vari beni immobili e stabilendo contrattualmente determinate regole di convivenza, si possono ugualmente ottenere risultati se non identici, piuttosto simili).
Con la legge 219/2012 ed il Decreto legislativo di attuazione 154/2013 è stato introdotto, anche, il concetto di responsabilità genitoriale che sostituisce quello di potestà e che viene esercitata da entrambi i genitori, se entrambi lo hanno riconosciuto e sono conviventi o dal genitore che convive con il figlio, anche se è stato riconosciuto sia dal padre che dalla madre o dal genitore che lo ha riconosciuto per primo, se nessuno dei due genitori convive con il figlio.
Responsabilità del genitore, concepita come un insieme di doveri e diritti. Il vincolo verso i figli è riconosciuto fino alla raggiunta indipendenza economica degli stessi. Alla luce dell’art. 316 c.c., così come modificato, anche per il genitore che non esercita la rispettiva responsabilità, esiste il diritto-dovere di salvaguardare l’istruzione e le condizioni di vita del figlio.
Sposati o meno i genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo.
Si può ricorre, ad esempio, su istanza di chiunque vi ha interesse, per ottenere che una quota dello stipendio, in proporzione allo stesso, sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione dei figli.
Se si interrompe la convivenza, infine, i genitori, con le nuove normative, affronteranno un unico giudizio davanti al Tribunale Ordinario competente per stabilire l’affidamento dei figli e per definire l’assegno di mantenimento.
di Avvocato Claudia Cimato
Fonti:
Art. 315 c.c.;Art. 315 bis c.c.; Art. 316 c.c.; Art. 316 bis c.c.; DPR 223/1989; Legge 53/2000; D. Lgs. 151/2001; Regolamento Ce 2201/03, cosiddetto Bruxelles II-bis; Legge 54/2006; Legge 219/2012; D. Lgs. 154/2013;
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