adolescenti e disagioElisa ha lavorato per anni con gli adolescenti, italiani e stranieri, ricchi e poveri, maschi e femmine; ha incontrato ragazzi e ragazze diversi, accumunati però da un gran desiderio – ma soprattutto bisogno – quello di essere ascoltati.

Una delle fasi più critiche in questo senso è l’adolescenza: una fase di passaggio molto delicata, piena di domande su noi stessi, sul nostro corpo, sui nostri sentimenti; domande alle quali non sempre è facile  trovare risposta, soprattutto contando solo sulle proprie forze. A noi genitori questa fase fa paura. Capita troppo spesso che si sminuiscano segnali chiari, richieste di aiuto per la paura di non saperle affrontare.

È dal desiderio di sostenere proprio questa delicatissima fase della vita di ragazzi e genitori che è nato a Milano lo Spazio Eterotopico, un luogo d’incontro e di confronto che vive grazie alla Dottoressa Chiara Corte Rappis, psicopedagogista clinica che da anni si occupa di questi e molti altri temi.

Elisa l’ha incontrata per conoscere più da vicino il suo lavoro e riflettere insieme su alcuni aspetti proprio del rapporto genitori-figli.

 

Dottoressa Corte Rappis, nel 2012, su sua iniziativa, apre a Milano lo Spazio Eterotopico, ci vuole spiegare di cosa si tratta?

Il termine eterotopico nasce da un concetto di Michel Foucault, secondo il quale in ogni società esistono luoghi reali dove trascorrere la frenetica vita quotidiana, affiancati da altri, altrettanto reali, che funzionano come contro-luoghi. Questi spazi altri sono appunto i luoghi eterotopici: spazi privilegiati, dove il tempo assume connotazioni diverse.
Partendo da questa idea, ho deciso di creare uno spazio fisico pensato per le persone che si trovano a vivere un momento di difficoltà, un posto dove fermarsi, dove riflettere e ascoltarsi interiormente per poi tornare agli spazi della vita reale con una rinnovata consapevolezza.
Ciò che porta le persone ad entrare in crisi è spesso la mancanza di sicurezza nelle proprie risorse, nelle proprie potenzialità che, mediante la riflessione, l’elaborazione narrativa del proprio vissuto, possono essere riscoperte e rimesse in gioco con maggiore fiducia.

A settembre ha dato avvio al Progetto Prevenzione Adolescenti, in cosa consiste e a chi è rivolto?

Negli ultimi cinque anni ho lavorato con giovani adulti tra i 20 e i 30 anni e ho avuto modo di riscontrare come le perplessità e le difficoltà, se non affrontate tempestivamente, possono trascinarsi negli anni con conseguenze ancor più negative.
Così, è nata l’idea di rivolgermi a una fascia di età più bassa, in modo da poter intervenire per tempo e non trasformare le difficoltà in qualcosa di più grave, i cui i costi umani ed economici diventano pesanti da sostenere sia per i ragazzi che per le loro famiglie.
Nel progetto che ho pensato e costruito, i giovani tra i 13 e i 20 anni che lo desiderano, hanno  a disposizione un colloquio gratuito all’interno del quale è possibile aprirsi senza sentirsi giudicati, chiedere sostegno su ogni tipo di dubbio o perplessità, sia autonomamente, sia con il coinvolgimento familiare.

chiara rappis intervista disagio giovanileParlando di adolescenti si sente spesso di una nuova generazione che fatica a vivere nel mondo attuale; crede che questo sia indice di un aumento del disagio giovanile o è solo una questione di maggior visibilità?

I giovani oggi sono più informati, hanno più fonti da cui attingere, possibilità che può essere vista come occasione di maggior conoscenza, ma non sempre positiva, soprattutto in assenza di una mediazione da parte degli adulti.
Non credo che ci siano problemi diversi tra i giovani di oggi e quelli del passato, ma sicuramente i ragazzi e le ragazze di oggi sono più svegli, si sviluppano prima, già dai 9-10 anni.
Quello che è cambiato, a mio avviso, non è tanto il disagio, ma il modo in cui lo si vive. In passato, infatti, i problemi personali erano qualcosa di privato, in famiglia c’era maggior riservatezza, certi argomenti come il corpo, lo sviluppo erano tabù.
Oggi siamo di fronte a un mutato atteggiamento anche nelle famiglie, ora i genitori sono più informati, spesso sono proprio loro a riconoscere i sintomi del disagio, cosa che in passato non avveniva, o comunque avveniva con minor frequenza.
Senza dubbio credo che quella di oggi sia una società più veritiera, più onesta rispetto a quella di ieri che cercava di nascondere piuttosto che affrontare, una società che rende quindi i problemi attuali più visibili e dibattuti.

Quali sono le difficoltà, le situazioni che portano oggi i ragazzi e le ragazze a vivere situazioni di disagio?

I giovani hanno bisogno di qualcuno che li ascolti veramente, che non li giudichi; hanno bisogno di essere accolti e di essere coinvolti nella costruzione di qualcosa che parta da loro, qualcosa che non sia costruito solo dall’adulto. Non bisogna mai dimenticare che ognuno ha la sua storia, una storia legata a un contesto specifico che non può, e non deve, essere paragonata ad altre.
Detto questo, penso che una delle difficoltà più grandi per gli adolescenti sia proprio quella di trovare un canale di comunicazione con la famiglia, ma anche di riuscire a sviluppare un chiaro senso d’identità, soprattutto rispetto alle continue sfide e incertezze della società odierna.
Ci sono poi difficoltà relazionali, che spaziano in molti ambiti della sfera affettiva. I giovani di oggi sono insicuri nei loro rapporti, vittime di una fragilità che anche lo sviluppo delle relazioni virtuali non facilita. Molti ragazzi, infatti, oggi vivono il virtuale come se fosse il mondo reale e ciò molto spesso produce un distaccamento dalla realtà, che è molto pericoloso.
È importante fare concretamente, mettersi in gioco anche con il corpo, non nascondendosi dietro uno schermo, cercando vere occasioni di confronto, cosa da cui non si può prescindere per un corretto percorso di crescita.

In che modo si può prevenire l’insorgere di situazioni disagio? Quali sono i comportamenti, gli atteggiamenti che i genitori possono mettere in atto?

Mettersi al loro livello, è questa una delle chiavi; vedere un’apertura da parte dei propri genitori è sicuramente apprezzato dai ragazzi e dalle ragazze, così come lo è la capacità di un genitore di mettersi in discussione, di saper chiedere scusa quando ha sbagliato, di dare piena disponibilità, anche quando l’aiuto che il proprio figlio chiede non corrisponde alle modalità che socialmente e culturalmente gli appartengono.
È fondamentale mettere da parte il proprio Io e la propria tendenza a giudicare.
È necessario un ascolto attento; se si ascoltano davvero i propri figli, è quasi impossibile non riconoscerne le problematiche. Sembra scontato, ma non lo è.
I ragazzi sono molto cauti nell’aprirsi e se intravedono anche un minimo cenno di chiusura, possono isolarsi per sempre; questo può portare a problemi più grandi, che potrebbero essere evitati da una solida capacità di dialogo e da un’attenzione vigile. La costruzione di un rapporto di qualità è sinonimo di prevenzione.

All’interno dello Spazio Eterotopico lei si occupa anche di progetti a sostegno della genitorialità, crede che rispetto al passato maternità e paternità siano un compito più difficile?

Sicuramente c’è una maggiore fragilità nei genitori, in primo luogo perché essendosi alzata l’età in cui si hanno figli, ci troviamo di fronte a genitori più consapevoli ma anche più preoccupati di sbagliare, di non riuscire ad assolvere bene il proprio ruolo.
Questo è ancora più vero per le donne, che non sono solo più mamme, ma che si ritrovano alle prese con una conciliazione familiare e lavorativa che non è quasi mai facile.
Di fronte a questa vita familiare sempre più frenetica e fatta d’incastri, un altro aspetto da non sottovalutare è poi il rapporto di coppia, che dopo la nascita di un figlio va ricalibrato sulla base di nuove esigenze. Così come la donna, per essere madre, deve accogliere una nuova vita, deve essere a sua volta accolta in modo nuovo dal partner. E la necessità di una nuova modalità di cura vale anche per i padri, che vanno coinvolti passo dopo passo nella vita dei figli, affinché non si sentano esclusi da qual rapporto talvolta viscerale che si crea tra madre e bambino.
Diventare genitori ma anche rinascere come coppia quindi, ricostruirsi un rapporto nuovo in virtù dei cambiamenti che la famiglia vive è di fondamentale importanza.

Genitori si diventa, quello del padre e della madre è un mestiere che s’impara sul campo, ma spesso i genitori si sentono soli nel loro difficile compito educativo, cosa vorrebbe dire loro?

Per aiutarli a superare le difficoltà che possono insorgere, è importante che i genitori si sentano parte di una comunità; è proprio in quest’ottica che ho dato vita a vari progetti di sostegno alla genitorialità, con l’obiettivo di creare momenti di confronto dove è possibile aprirsi liberamente, dare voce ai propri dubbi, frustrazioni, al senso di solitudine.
Aprirsi di fronte a persone che non appartengono alla propria cerchia è sicuramente più facile, ci si sente più liberi e soprattutto capiti da chi vive le stesse problematiche, senza il rischio di essere etichettati; sapere che altri “ce l’hanno fatta” a superare determinate difficoltà è senza dubbio un’ulteriore fonte di stimolo.
Da parte dei genitori c’è bisogno d’informazioni, ma soprattutto di legami; la famosa rete di sostegno di cui tanto si parla è fondamentale, soprattutto in una città come Milano che offre tanto, ma che paradossalmente spesso manca proprio di punti di riferimento, di quel contatto umano di cui si ha bisogno per uscire dalla solitudine.

Grazie a Elisa e grazie alla Dottoressa Chiara Corte Rappis. Noi in questa “rete” crediamo molto.

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