Milano, 3 giu. (Adnkronos Salute) – “Alla luce del recente fatto di cronaca che ha visto una giovane madre di Passo Corese (Rieti) uccidere il proprio figlio di pochi mesi, proponiamo al ministro della Salute Ferruccio Fazio di applicare la procedura del Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) extraospedaliero per le donne affette da depressione post partum, a rischio di infanticidio”. A suggerire una ‘linea dura‘ per arginare il dramma delle mamme assassine sono Giorgio Vittori, presidente della Società italiana di ginecologia e ostetricia (Sigo), e Antonio Picano, presidente dell’Associazione Strade Onlus e responsabile del progetto ‘Rebecca’ per la prevenzione e il trattamento della depressione in gravidanza e nel puerperio.
Gli esperti calcolano che ogni anno 50-75 mila mamme italiane vengono colpite dal baby blues, con un costo sociale valutato in circa 500 milioni di euro su 12 mesi. Secondo gli esperti di Strade Onlus, i casi tanto gravi da costituire una minaccia per la vita del bebè e da richiedere quindi un Tso sono circa mille all’anno. Il trattamento sanitario obbligatorio extraospedaliero, ricorda una nota della Sigo, consente di adottare limitazioni della libertà personale per ragioni di cura, all’interno dell’abitazione del paziente. Un’equipe specializzata potrebbe occuparsi continuativamente 24 ore su 24 delle donne con comportamenti potenzialmente omicidi, tutelando così in maniera efficace sia la madre che il figlio, sostengono gli specialisti.
“La depressione post partum si può prevenire – assicura Vittori – e i ginecologi italiani sono impegnati da tempo per diventare ‘sentinelle'” contro questa triste emergenza. Ma quali sono i campanelli d’allarme? Al primo posto gli episodi di ansia o depressione durante la gravidanza, o una storia personale o familiare di depressione (81%), spiegano gli esperti. A seguire, precedenti casi di depressione post partum (78%), isolamento o condizioni socioeconomiche svantaggiate (63%) e problemi con il partner (58%).
Secondo la letteratura scientifica, la depressione post partum colpisce circa il 10% delle neomamme. Eppure, nonostante i numeri preoccupanti del fenomeno, “il rischio di sviluppare depressione viene valutato di routine solo dal 30% dai ginecologi durante gli incontri pre-parto – rileva Vittori – Dopo, solo nel 45% delle strutture è previsto un monitoraggio delle mamme a rischio. E il tempo dedicato all’informazione prima della dimissione è inadeguato per il 72% dei ginecologi”.
La Sigo ha raccolto questi dati attraverso un’indagine fra i propri soci, sulla cui base ha attivato già nel 2008 la campagna nazionale ‘Non lasciamole sole‘. Obiettivo: costruire una rete di protezione per tutelare soprattutto le donne più fragili. Il progetto, multidisciplinare, ha coinvolto vari specialisti: se il ginecologo si afferma infatti quale prima figura di riferimento (molto importante per il 63%), rivestono un ruolo chiave anche lo psicologo (59%), l’ostetrica (52%), il medico di famiglia (30%) e il pediatra (24%). “Alla prevenzione deve però immediatamente seguire una presa in carico del problema da parte dei singoli professionisti – avverte Vittori – un concreto impegno delle autorità nazionali e locali, anche dal punto di vista organizzativo-gestionale, e una stretta collaborazione con le donne e i loro familiari, senza esitare”, puntualizza il presidente Sigo.
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mi sembra una proposta molto interessante anche solo fosse un monito ai parenti delle mamme a rischio che spesso trascurano il problema!!!!