Tutti conoscono “l’emergenza rifiuti” che nel 2008 è scoppiata a Napoli ed in Campania. All’epoca abitavo a Pianura, quartiere a ridosso della collina dei Camaldoli ed al confine con la conca degli Astroni.
Ricordo il mio compleanno, era il 10 gennaio e già da giorni, vi erano manifestazioni spontanee, scontri e barricate innalzate un pò in tutti i quartieri periferici di Napoli dove insistevano discariche e/o incerenitori.
Quel giorno, cosi come in altre due occasioni, ho rischiato il linciaggio cercando di attraversare con l’auto una barricata posta a ridosso della strada che mi avrebbe consentito, poi, di raggiungere il Tribunale.
E portavo in grembo mia figlia.
Gente in strada a manifestare per la propria salute e per quella dei propri cari. I colori e gli olezzi dell’immondizia sbattuta sull’asfalto, il grigio dei cassonetti riversi a difesa dei manifestanti, le urla e gli slogan estemporanei, i volti degli uomini delle forze dell’ordine presenti a presidiare la rivolta.
Spesso un problema, un pericolo, un’emergenza, non ci appartiene fino a quando, le voci, le urla, gli sbarramenti che si alzano, non ci vengono sbattuti in faccia, non ci “impediscono” di continuare, stancamente, la nostra vita di tutti i giorni. In quei giorni e nelle settimane a venire era quasi impossibile uscire di casa ed andare a lavorare.
L’invasione di rifiuti e tutto quello che dopo ne è scaturito (ecoballe – trasporto delle stesse – chiusura delle discariche ecc.) è stato ampiamente documentato da tutti i quotidiani locali e nazionali.
Quello che molti facevano finta di non vedere e che oggi è, invece, sotto gli occhi di tutti, è la pratica criminale di smaltire o riciclare i rifiuti bruciandoli.
Troppo spesso ci rintaniamo nelle nostre piccole sicurezze, nei nostri nidi, nella famiglia, nella propria casa, facendo riferimento ai figli, al lavoro, agli amici di sempre, ai piccoli problemi quotidiani, un microcosmo che appartiene solo a noi e che rende tutto il resto distante mille miglia.
Appartenere ad una città significa partecipare attivamente a rendere migliore ciò che ci circonda, sentirsi un unicum, senza parlare “degli altri” come se alcuni eventi non ci riguardassero.
Ed invece viviamo solo il “nostro” quartiere, ignorando che a pochi passi da noi c’è un mondo che ci appartiene di cui, inconsapevolmente, facciamo parte. E questo, su scala nazionale, riguarda tutti. Fare finta di nulla, pensare “tanto qui da noi non accadrà mai” non può giustificare una insensibilità strisciante e sonnolente.
I profumi ed i sapori della nostra terra, che ogni giorno si riversano in tutte le città, sono un patrimonio inalienabile. Possiamo decidere di non bere l’acqua delle nostre sorgenti, di non mangiare ciò che la nostra terra produce, ma non possiamo fare a meno di respirare l’aria che ci circonda!
Le malattie sono una cosa ingiusta che riguardano “gli altri”, fino a quando uno di noi non si scopre imperfetto, affetto da patologie gravi e da quel momento il microcosmo si crepa, il piccolo mondo si affaccia repentinamente in una realtà che, a ben vedere, accomuna molte più persone di quante fino a quel momento si immaginasse.
Comuni cittadini si sono mobilitati, hanno creato siti e blog per denunciare uno scempio che va avanti da troppi anni. I roghi e i fumi tossici sono veleno che silenziosamente invade le nostre case, le nostre terre, i nostri corpi. Ogni giorno fumo nero aleggia maleficamente sulla vita di ognuno di noi. In questi incendi si brucia di tutto. A essere dati alle fiamme sono rifiuti speciali, materiali che andrebbero diversamente e specificamente smaltiti. E mai e poi mai bruciati nelle campagne, in prossimità di allevamenti, di frutteti e di coltivazioni.
In qualunque ora del giorno e della notte.
Ho deciso di partecipare alla seconda mobilitazione generale della Terra dei Fuochi.
Il 25 ottobre sarò a Napoli con i miei amici e con tutti coloro che come me amano la propria terra e desiderano poter scrivere la parola fine.
Vi unite a noi?
photo credit: Hani Amir via photopin cc
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