Un argomento duro, scomodo, pesante. Un post molto impegnativo scritto da chi queste cose le vive da tempo, da vicino, con attenzione. Ma noi Mamme Acrobate ci sentiamo in dovere di non fare finta di niente, di non pensare che se una cosa non la vedo forse in fondo non c’è. Abbiamo chiesto di aiutarci in questo percorso a Chiara Peri, mamma e blogger, che lavora presso l’Associazione Centro Astalli sede italiana del Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS) ed incontra ogni anno circa 32 mila persone, di cui quasi 21 mila nella sola sede di Roma. Il Centro Astalli ha come missione quella di accompagnare, servire, difendere i diritti dei rifugiati.
E per questo suo contributo, oltre che per il suo impegno, ancora la ringraziamo pubblicamente.
Ci sono cose di cui non vorremmo mai parlare ai nostri figli. Ci sono cose di cui non amiamo parlare neanche tra noi. Perché sono fatti dolorosi, inaccettabili e certamente difficili da spiegare. Chi di noi sceglierebbe di affrontare con i bambini argomenti come guerre, persecuzioni, torture, genocidi? Questi temi stanno bene all’interno delle pagine di un libro di scuola, quando saranno grandi. Cose del passato, che non hanno nulla a che vedere con il nostro quotidiano, con noi.
Ma è davvero così? Le circostanze imprevedibili della vita mi hanno portato a occuparmi di rifugiati, persone che sono arrivate in Italia in cerca di protezione, dopo essere state costrette ad abbandonare, da un giorno all’altro, tutta la loro normalità. Madri, padri, figli. A volte tutti insieme, a volte da soli, dopo aver lasciato alle spalle un paese in cui non potranno mai più tornare. Da quando lavoro al Centro Astalli ho avuto la chiara consapevolezza di quanto poco di quel accade nel mondo filtri nei media italiani.
Qualche esempio? Il Nord Kivu è una bellissima regione della Repubblica Democratica del Congo, al confine con il Rwanda e l’Uganda: oltre alle bellezze naturali, è un territorio che possiede un sottosuolo ricco di diamanti, oro, zinco e soprattutto di coltan da cui si estrae il tantallio, un minerale che serve per molti prodotti della moderna tecnologia, dai telefonini ai computer, alle testate nucleari. Questa ricchezza è stata paradossalmente la causa dei drammi e della povertà delle persone che vi abitano: da oltre 15 anni il Nord Kivu è teatro di ribellioni cicliche e di violenze perpetrati da gruppi armati. Negli ultimi mesi la situazione si è aggravata e la popolazione civile è in balia della violenza. Centinaia di migliaia di persone sono state costrette alla fuga. Le agenzia umanitarie non riescono più ad assicurare neanche generi di prima necessità. Tra lo scorso aprile e settembre in più di 70 attacchi almeno 264 civili, di cui 83 bambini, sono stati uccisi da gruppi armati. Dilagano le violenze sessuali nei confronti di donne e ragazze, per cui il Congo ha un triste primato: secondo uno studio dell’American Journal of Public Health, ogni ora, 48 donne sono vittime di stupro. Ne avevate mai sentito parlare? Io solo dal mio collega Danilo, che lavora lì ed ha tutti i giorni davanti agli occhi questa tragedia.
Vogliamo parlare della Somalia? La conosco solo dai racconti dei giovani rifugiati che arrivano qui. Alcuni di loro in tutta la loro vita non hannno mai conosciuto la pace. La Somalia è stata definita la più grave crisi umanitaria del mondo. Più di tre milioni di somali soffrono oggi delle conseguenze del conflitto, delle violenze, dell’insicurezza permanente, dell’aumento record dei prezzi del cibo e dei carburanti e della siccità che produce carestie e decima il bestiame. Gli scontri armati hanno il loro epicentro nella capitale, Mogadiscio da dove, dall’aprile 2007, è fuggita la metà della popolazione. Solo nel 2012, 19 giornalisti sono stati uccisi. Se ne parla, in televisione? No, perché un conflitto che dura da così tanti anni non è una notizia. E badate, la mia non è una frase ad effetto: è solo quello che vi risponderà qualunque giornalista, se gli chiedete il motivo di questo silenzio. Del resto avrete notato che della Siria, in questi giorni, non si parla quasi più: eppure la situazione non è migliorata. Anzi. Come raccontano i colleghi che lavorano a Aleppo, a Damasco e a Homs, migliaia di persone sono rimaste letteralmente senza nulla: non hanno nemmeno da coprirsi, ora che l’inverno si avvicina. Le stime più recenti dell’Ufficio dell’ONU per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) valutano che 2,5 milioni di siriani abbiano urgente bisogno di assistenza, e che oltre 300mila rifugiati siano fuggiti nei paesi vicini.
Ma forse il silenzio più doloroso è quello che copre la silenziosa strage quotidiana che avviene nel Mediterraneo, il mare delle nostre vacanze. Giusy Nicolini, sindaco di Lampedusa, ha lanciato anche per radio un accorato appello all’Italia e all’Europa, che ha appena ricevuto il Nobel per la pace: “Non riesco a comprendere come una simile tragedia possa essere considerata normale, come si possa rimuovere dalla vita quotidiana l’idea, per esempio, che 11 persone, tra cui 8 giovanissime donne e due ragazzini di 11 e 13 anni, possano morire tutti insieme, come sabato scorso, durante un viaggio che avrebbe dovuto essere per loro l’inizio di una nuova vita” (il testo scritto lo trovate qui).
“E noi che possiamo fare?”, vi starete chiedendo a questo punto. La risposta non è facile. La tentazione è rispondere “niente”. Però io invece credo che ciascuno possa trovare un suo modo di non restare indifferente. Credo che il nostro primo compito da genitori sia cercare di praticare e coltivare la giustizia. Non cedere alle letture facili e ciniche di quello che avviene. Insegnare anche ai nostri figli (prima di tutto con l’esempio) che no, non è vero che i loro, che i nostri diritti contano un po’ di più di quelli degli altri. Imparare insieme a cambiare punto di vista. Cercare anche delle occasioni per ampliare i nostri orizzonti, come singoli e come famiglia. Educare i nostri bambini significa anche questo.
Qualche consiglio e approfondimento
Rifugiati: e io che posso fare?
Una lettura per i vostri figli da GenitoriCrescono(dagli 8 anni)
Una lettura per noi genitori: Terre senza promesse
Foto di emanuela zuccala per “io donna” pubblicata nel febbraio 2009
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