Mia figlia non va a letto se Bibi e Isy non sono con lei e sono le prime cose che mettiamo in valigia quando partiamo… chi sono? I suoi “oggetti transizionali”, in parole povere due bambole che lei adora, a cui ha dato un nome e che ha scelto come compagni di viaggio in questa fase della sua crescita.
Ma cos’è un “oggetto transizionale”?
È una qualunque cosa in cui il bambino riveda la sua principale figura di riferimento (soprattutto la madre, dunque). Gli regaliamo tanti meravigliosi giocattoli prima ancora che nasca, ma poi lui istintivamente è attratto da qualcosa, non perché particolarmente colorato o bello, ma semplicemente perché “sa di mamma”, di coccole, di affetto, gli scalda il cuore e, stringendolo a sé, sente riempirsi quel vuoto, quello spazio che scopre esistere tra lui e noi e che è uno spazio fisico ma anche simbolico. Quell’oggetto rappresenta un legame forte e molto reale, perciò il suo valore è molto più che un’illusione.
Sul lembo di lenzuolo, sul cuscino, sul pupazzo, su un indumento della mamma o sul ciuccio, il bambino riversa emozioni, bisogni e desideri: lo coccola, lo stritola, lo morde, lo distrugge anche, scaricandovi frustrazioni e aggressività, sicuro di non esserne tradito, che quell’oggetto è lì per lui e sarà a sua disposizione, finché lo vorrà e ne avrà bisogno.
A cosa serve?
Winnicott (famoso pediatra e psicoanalista) affidò all’oggetto transizionale il delicato compito di aiutare il bambino ad attraversare la fase dello sviluppo dell’Io e della differenziazione, che coincide con la nascita della consapevolezza di non essere una sorta di prolungamento della madre, ma un individuo separato da lei.
I più piccoli quasi si percepiscono un tutt’uno con questo oggetto, che poi piano piano scoprono essere qualcosa di esterno, ma su cui ancora sentono di avere pieno potere ed ecco che la transizione dalla soggettiva realtà interna a quella oggettiva esterna (al di fuori del loro controllo) è più sopportabile, perché avviene gradualmente tramite questa sorta di ponte.
Sempre secondo Winnicott, una “madre sufficientemente buona” sarà non solo capace di adattarsi al proprio bambino, di accudirlo in modo creativo e non meccanico e di favorire il suo sviluppo, ma anche – attraverso un certo grado di frustrazione ottimale che lo aiuta a crescere senza traumatizzarlo – di mettersi gradualmente da parte, riducendo la quasi simbiosi iniziale, per permettergli di diventare indipendente, comprendendo di non essere onnipotente.
Per superare l’angoscia del distacco (predominante al momento della nanna), a partire dai 4-5 mesi circa, i bambini scelgono un oggetto per trarne conforto, rassicurazione, protezione. I cambiamenti, le scoperte, la crescita in generale sono processi che inevitabilmente creano ansia, confusione, smarrimento, frustrazione, perché comportano la perdita d certezze, un viaggio verso l’ignoto che è sicuramente più facile se non si affronta da soli.
Per mia figlia, andare a dormire coi suoi pupazzi, ha sempre significato superare la paura di addormentarsi senza di me, sapere che non è sola, ritrovare un po’ me che non ci sono in quelle bambole che stringe e coccola.
Come dobbiamo comportarci noi?
Non forziamo nostro figlio ad abbandonare il suo oggetto preferito, non proviamo a sceglierglielo noi né a cambiarglielo. Proprio per il fatto di essere “transizionale”, la sua presenza avrà senso solo durante una fase della vita del bambino, terminata la quale perderà il suo significato così forte e profondo (anche se il bambino potrebbe rimanervi legato per una sorta di affetto o ricercarlo durante momenti di particolare stress).
Se notiamo un morboso e persistente attaccamento alla “coperta di Linus”, un isolamento o un particolare disagio, non esitiamo a parlarne con uno specialista, ma, di solito, il bambino se ne distaccherà in modo indolore prima dell’ingresso alla scuola primaria, quando sarà ormai sicuro del legame e dell’affetto da parte dei genitori –anche quando non sono con lui- e riuscirà a delineare i confini della propria identità.
Data l’importanza dell’oggetto, non dimentichiamo mai di portarlo durante i viaggi e – nel caso dovessimo proprio lavarlo – facciamo in modo che sia pronto quanto prima. Attenzione a darne al bambino uno di riserva, perché quasi sicuramente se ne accorgerebbe! Potrebbe essere utile portarlo in occasione di una visita medica o dei primi giorni al nido o all’asilo da solo (solo nei primi giorni, però, poi è preferibile lasciarlo a casa per evitare che si perda, si rovini o diventi oggetto di contesa con altri bambini!).
E se il bambino non ha un oggetto transizionale?
Una funzione consolatoria e rassicurante, che ricordi il legame con la mamma e l’amore di lei e per lei può anche essere rivestita da una lucina, da una particolare routine a cui il bambino è “affezionato” o anche da quella sorta di verso che molti bambini fanno prima di addormentarsi, quasi per imitare la ninna nanna che noi cantiamo loro.
Per approfondire:
Winnicott Donald W., “Gioco e realtà”, Armando Editore, 1971
photo credit: iStock.com/Nuli_k
8 Comments
quell’oggetto è lì per lui e sarà a sua disposizione, finché lo vorrà e ne avrà bisogno… Per esperienza posso affermare che a volte il bisogno non finisce mai (o quasi!). Mia figlia aveva (o dovrei dire “ha”) una copertina che l’ha seguita ovunque dai sei mesi fino a…. tuttora. Non si poteva lavare perchè “perdeva il suo sapore”, non si potevano cucire i buchi perchè “così le fai male” e naturalmente non si poteva abbandonare mai. Ora non si addormenta accarezzando la sua coperta (o meglio “il suo coperto” perchè era un maschio!) ma la sua coperta è ancora e sempre vicina a lei. E vi posso assicurare che è una ragazza senza problemi!!!!! E poi devo dire che questa copertina l’ho amata pure io soprattutto quando lei da piccola mi permetteva di toccarla un po’ “così starai bene”!
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