È passato un anno esatto da quando mi sono sottoposta alla manovra di rivolgimento fetale. Edoardo, un torello nato di quattro chili, fino all’ultimo è stato a testa in su, facendomi rischiare un parto cesareo. Spoiler sul finale: è andata tutto bene, è nato con un parto naturale. Ma i dubbi e le domande che abbiamo avuto io e mio marito prima di scegliere di accettare la manovra di rivolgimento fetale del bimbo podalico sono stati tantissimi. Come i tuoi probabilmente, che stai leggendo. Ti racconto la mia esperienza.

Bimbo podalico: prima del parto cesareo c’è la manovra di rivolgimento

17 aprile. Ecco la data del mio ipotetico parto cesareo. Me lo hanno fissato a metà marzo, il termine doveva essere il 26 aprile, dunque si anticipa sempre di un po’ per non rischiare di arrivare troppo sotto data e che si scateni il travaglio e ci si debba sottoporre ad un cesareo d’urgenza. Ricordo perfettamente la trafila: ecografia del terzo trimestre, 30esima settimana. “Signora il piccolo non è ancora in posizione, è podalico, se rimane così deve programmare un cesareo“. Diretta e un po’ fredda, la dottoressa. Poi mi guarda, io che mi sento frastornata e non capisco nulla, e mi dice: “aspetti, un passo alla volta, mancano 10 settimane, può ancora girarsi, ma per prassi dopo l’ultima visita con la sua ginecologa dobbiamo organizzarci con prericovero e cartella per il parto”. Ok, respiro, ma non mi sento molto serena. Era l’ultima delle opzioni che avevo considerato, un cesareo, come secondo figlio, la mancanza del papà alla nascita, quel momento pazzesco che è la nascita naturale di un figlio, me lo sarei perso davvero? Ché poi, per carità, non demonizziamo nulla, se serve, grazie a Dio che esiste il cesareo, ma il mio primo parto era stato così (lungo ma) magico che speravo di poter riprovare la stessa emozione. Non solo, dal parto mi ero ripresa in poco tempo (a parte sedermi su una chiappa sola per un mese come molte mamme!) e pensare di tornare a casa dopo un cesareo con anche un treenne mi metteva il panico. La dottoressa poi mi dice: “ah, se le interessa, c’è un dottore qui in ospedale, il dottor Pantano, che svolge la manovra di rivolgimento, si informi“.

Torno a casa piena di dubbi e di domande. Vado dalla mia ginecologa per la visita successiva: ho fatto esercizi a quattro zampe come consigliano per allargare il bacino e invitare il piccolo a girarsi, ci siamo sottoposti alla moxa, sigari di artemisia che vengono fatti bruciare per scaldare un punto in particolare nel punto 67 del meridiano della Vescica Urinaria, che si trova sul quinto dito del piede, all’estremità esterna dell’unghia. Un unico risultato: una puzza pazzesca in tutta casa. Niente da fare, Edoardo se ne fotte allegramente e fa ogni tanto qualche avanti e indietro con la testa incastrandosi sotto le mie costole e facendomi credere di essere posizionato bene, fino a quando di nuovo sento il suo singhiozzo nella solita posizione. È ancora podalico. L’eco di controllo lo conferma. La mia ginecologa mi abbandona all’ospedale in cui voglio partorire: ora tocca a loro prendere in carico la cosa, dice. Ci resto male, non so a chi rivolgermi e mi sento persa, chiamo un’amica che ha la mamma ostetrica e che ha fatto nascere il mio primo figlio. Mi spiega tutto, dice di non avere paura. Senti Pantano, dice.

Chi è questo dottore, ma poi in cosa consiste, e se succede qualcosa, e se il bambino sta male? Inizio a cercare online e passo dai dubbi al terrore (ed ecco perché sono qui a scrivere un articolo). C’è la mamma che dice che si è rotto il cordone, l’altra che racconta che non serve a niente, l’altra che ha deciso di non farla perché “se le cose devono andare così c’è un motivo“. Sì, certo. Io, che sono illuminista per vocazione, le risposte dovevo trovarle prima nella scienza, dunque con mio marito decidiamo di prendere un appuntamento con questo dottor Francesco Pantano. Lo cerco su Facebook. Ha due figli, un viso rassicurante, ma sì dai, sarà gentile. Così è.

In cosa consiste la manovra di rivolgimento del feto podalico?

Capisco subito che è una persona gentile. Ci accoglie tra una visita e l’altra, “c’è una collega assente, sto facendo anche il suo turno“, risponde al telefono, è dolce con tutti. Ci spiega. “Il vostro bambino è a testa in su. Per il parto naturale la sua testolina deve incanalarsi verso il basso, nella manovra non facciamo niente altro se non aiutarlo. Lo accompagniamo nella capriola, solo esternamente, spingendo con le mani sul pancione. Una mano va sul sedere del piccolo, una sulla testolina. Ma tranquilli, se non vuole non insistiamo. Ci proviamo una, massimo due volte. Siamo pronti a intervenire in qualsiasi situazione“.

Sull’ultima frase mi tremano le gambe e si affollano le domande: situazione tipo? E mi illustra un documento da firmare, in cui si parla dei rischi: rottura del cordone, parto anticipato, cesareo d’urgenza. Ok, il rischio c’è, mi dico. “Sì, ma signora davvero è molto molto basso“.

Nei giorni successivi passo dal sì al no cinquanta volte. Ogni persona che sento mi dice la sua (è sempre stato un mio problema cercare conferma negli altri e creare ancora più casino nella mia testa ad ogni opinione) e poi penso: proviamo, male che vada partorirò in anticipo. Fissiamo una data: 10 aprile. Il bambino sarà già completamente formato, pronto a nascere (si esegue intorno alla 37esima settimana perché sia a termine ma non troppo grosso). Male che vada nascerà. Il 10 aprile è una bella data, no?

Iniziano le visite di controllo, quelle del prericovero. Esami del sangue, urine, anestesista, elettrocardiogramma, monitoraggi. Edo cresce, bello tondo e in salute e il mio bacino si fa sempre più stretto. Non ce la faremo mai, penso.

La manovra si fa in day hospital. Ti ricoverano la mattina, ti fanno un monitoraggio, un’eco per vedere in che posizione è il feto e per capire da che parte fargli fare una capriola per spingerlo a posizionarsi nel modo giusto. Ti fanno anche una flebo di un medicinale che rilassa l’utero e evita che una volta maneggiato possano partire contrazioni. “Venga alle 8“. Alle 8 siamo lì.

Dopo tutti i primi esami mi fanno svestire e mi mettono il camice da parto. Mi tremano le gambe, di nuovo, ci mettono proprio in una sala parto. Mi girano intorno un sacco di ostetriche. “Vuoi proprio soffrire eh?“, mi dice una. Parla della mia voglia estrema di un parto naturale. “Sei coraggiosa, brava“. Alle 9 precise si inizia. Mi fanno il farmaco, “può dare un po’ di tachicardia“, lo sento. Arrivano in due medici, Pantano e un’altra dottoressa giovane e carina che ho conosciuto al corso pre-parto. Le ostetriche sono 4 o 5. Mi chiedo se sia per essere pronti in caso di urgenza o se siano curiose perché non si svolge frequentemente questo tipo di intervento in un ospedale relativamente piccolo come quello di Legnano. È una mia ipotesi, non lo so. Altra eco. La testa è sempre lì, la capriola la deve fare verso destra, il cordone è libero, non se lo tirerà dietro, si può fare, dicono.

Un dottore “scava” con la mani nell’inguine, per sollevare il culetto di Edo e dargli la spinta, l’altra è pronta per aiutare la testolina. “Proviamo signora, si rilassi, primo tentativo“. Una spinta, Edo arriva in orizzontale, penso “oh, mamma e adesso se resta così?“. Pochi secondi, Edo è cefalico. Milioni di sorrisi, finalmente ci rilassiamo. Devo rimanere sotto controllo fino al pomeriggio. Ancora monitoraggi, ancora ecografie. Respiro, ma respiro nel vero senso della parola, senza la sua testa ormai grande fra le costole. È fatta. Posso scofanarmi ravioli e brasato, in day hospital ti danno il pranzo.

Edoardo è nato il 30 aprile 2019, dopo una notte di contrazioni, con un parto naturale. Doloroso, lunghetto, ma emozionante. Ero in piedi dopo poche ore. Ricordo la pelle di pesca, morbidissima al tatto, rosa e profumata di bebè. Un altro miracolo. Il mio secondo, meraviglioso, miracolo.

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Innamorata della vita, dei viaggi, della buona cucina. Smanettona, amo i social e la condivisione, più offline che online: le lunghe tavolate, le domeniche in famiglia, la risate esagerate. Freelance per vocazione, lavoro sul web dal 2009, nel 2013 divento co-founder di PaperProject.it. Nel 2016 realizzo il mio più grande sogno: diventare la mamma di Giacomo.

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