Così si chiama il progetto a lungo termine che tenterà l’inclusione delle donne nel mercato del lavoro, presentato dal ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna.
Il programma si sviluppa in un’analisi della situazione esistente che si presenta a tratti consolatoria e a tratti deludente: sembra infatti che sia aumentato il numero delle donne occupate grazie alla crescente presenza di badanti, soprattutto extracomunitarie, e anche che sia incrementata l’occupazione a tempo parziale. D’altra parte però la maternità continua a rimanere il punto critico del rapporto tra donne e lavoro e il sistema sociale in cui si trovano le lavoratrici italiane è molto più arretrato rispetto a molti paesi europei: la media dei figli per nucleo famigliare è molto bassa (la metà della Francia) e il ritorno dal congedo parentale spesso spinge le donne a lasciare il lavoro e a riscoprire le gioie della vita casalinga (e della disoccupazione).

Il programma mostra in 5 punti la strategia del Governo per rispondere a queste criticità, per un investimento totale di 40 milioni di euro:

• 10 milioni di euro per favorire i nidi familiari attraverso l’esperienza delle cosiddette “tagesmutter” (mamme di giorno), ossia donne che ospitano a pagamento i bambini in casa loro, un’esperienza già avviata con successo in alcune regioni del Nord;
•  4 milioni per la creazione di albi di badanti e baby sitter, italiane e straniere, appositamente formate;
•  12 milioni per voucher destinati all’acquisto di servizi di cura in strutture come ludoteche e centri estivi;
•  6 milioni per sostenere cooperative sociali che operano per la conciliazione in contesti svantaggiati;
•  4 milioni per favorire il telelavoro femminile;
• 4 milioni per percorsi formativi di aggiornamento destinati a lavoratrici che vogliono reinserirsi nel mercato del lavoro dopo un periodo di allontanamento a titolo di congedo di maternità, paternità o parentale.

Sembra però che il Governo non prenda in considerazione nessun provvedimento diretto per coinvolgere le aziende in azioni di monitoring per agevolare il rientro dopo la maternità, momento cruciale nella vita professionale delle donne.
Inoltre non si parla per nulla di ribilanciamento dei ruoli all’interno della famiglia, nessuna proposta di aumento del periodo di “paternità” o politiche di sostegno per l’interscambiabilità dei ruoli.
Il Governo invece si fa promotore di interventi rivolti alla famiglia (buoni infanzia o tagesmutter) e insiste fortemente sulla necessità di aumentare i legami intergenerazionali: in poche parole coinvolgere di più i nonni nella cura dei nipoti e dei figli nella cura dei genitori anziani. Un modello di familismo che non giova alla partecipazione femminile nel mercato del lavoro (figlie e nuore di norma si occupano dei parenti anziani…) e che non ha nessun tipo di sostegno economico e di servizi adeguato.

Per essere un documento che guarda verso una prospettiva decennale sembra ancora troppo poco.
Ancora si richiede alla donna di essere al centro e scorrettamente si spinge verso soluzioni di tipo privato, non prendendosi la responsabilità di un cambiamento che deve essere soprattutto culturale in un paese dove la donna con figli è vista con un peso e nel quale il Welfare non riconosce con un supporto economico  “il valore sociale della maternità”. Si parla sempre di maternità e non di genitorialità, forse questo è il vero gap culturale che bisognerebbe sanare.
E a noi tocca sperare nella concessione di un part-time che in concreto assomiglia sempre più a un miraggio.

Voi cosa ne pensate?

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