Nessuna donna dovrà più abortire in Lombardia a causa delle difficoltà economiche, queste le parole del Presidente della Regione Lombardia, Roberto Formigoni, pronunciate qualche giorno fa e dalle quali, su proposta dell’assessore alla Famiglia, Conciliazione, Integrazione e Solidarietà sociale, Giulio Boscagli, si è avviato un provvedimento sperimentale di aiuto concreto in questa direzione.

Il provvedimento consiste nell’erogazione di un assegno mensile di 250 euro per 18 mesi, fino a un massimo quindi di 4.500€, per quelle donne che rinunciano ad una interruzione della gravidanza che sarebbe stata la conseguenza di problemi economici, appunto. Questo contributo è reso possibile da un primo stanziamento di 5 milioni deciso dalla Regione, che ha versato i soldi sul Fondo “Nasko”, appositamente creato. Si legge sul sito della Regione:

“Vogliamo aiutare – commenta Formigoni – la famiglia, la maternità e la natalità, rimuovendo il più possibile gli ostacoli, a cominciare da quelli di natura economica, che rendono più difficoltoso il fare una scelta a favore della vita”.

Appena appresa, questa notizia non mi ha lasciata indifferente e così ho cercato di saperne di più, per lo meno di capire in che modo e secondo quali criteri sarebbe stato concesso il contributo.

Sempre sul sito della Regione si legge che per realizzare questo tipo di interventi di sostegno alle madri in difficoltà, sono state emanate delle linee guida, descritte sommariamente però.

In pratica accadrà questo: gli operatori del consultorio o dell’ospedale presso il quale la donna si presenta per richiedere l’interruzione di gravidanza e fissare gli esami pre ricovero dovranno verificare (!) che questa richiesta sia realmente determinata soprattutto da motivazioni economiche. A questo punto, sempre gli operatori del consultorio o i servizi ospedalieri dovranno mettere in contatto la donna con il CAV (Centro di aiuto alla vita) per consentirle di conoscere e valutare le varie opportunità di aiuto. Il CAV le presenterà gli interventi di aiuto che potrà offrirle, sia direttamente sia in raccordo con gli enti locali e le altre organizzazioni del terzo settore. A quel punto, se la donna decide di accettare un aiuto e di non interrompere la gravidanza, il CAV e il Consultorio familiare avranno il compito di stendere un “progetto personalizzato” che verrà sottoscritto anche dalla donna in questione e nel quale saranno descritti i diversi interventi attivati o da attivare sia prima sia dopo la nascita del bambino. L’effettiva partecipazione della madre al progetto concordato sarà la condizione necessaria per ottenere il contributo, che potrà essere utilizzato per acquistare beni e servizi sia per la madre sia per il bambino.

Quindi, da quello che posso capire, il contributo si dovrebbe inserire in un più ampio progetto “personalizzato” (come lo denomina la Regione) di sostegno alle madri in difficoltà, che si avvarrà della collaborazione e sinergia di enti locali, consultori, ospedali e centri di aiuto alla vita.

Di questo progetto (benchè sia nella sua fase sperimentale e appena avviato) mi lasciano perplessa diverse questioni.
Agli operatori che accolgono la donna in procinto di abortire si chiede anche di saper riconoscere se quest’ultima ha deciso per un’ivg (interruzione volontaria di gravidanza) a causa di problemi economici. Ma con quali strumenti lo potranno appurare?
E anche ammesso che la donna in questione abbia realmente deciso di interrompere la gravidanza per difficoltà economiche, non credo che 4.500€ possano risolvere la situazione. Al termine dei 18 mesi di bonus, chi le aiuterà? In che modo?

Forse sarebbe stato meglio destinare questo finanziamento a migliorare e incentivare le politiche di conciliazione lavoro e famiglia per aiutare le donne a entrare, e soprattutto a rimanere, nel mondo del lavoro. Con un lavoro migliorano anche le condizioni economiche… Ma questo è solo il mio pensiero.

Cosa ne pensate?

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2 Comments

  1. anche perchè i cav non sono gestiti ovunque allo stesso modo… da noi lo mandano avanti delle nonnine, che (lode allo sforzo e all’iniziativa, per carità!) non so quanto siano adatte a mettere giù un piano di aiuto… e quanto sia equo (temo che spesso le donne straniere si facciano meno problemi a farsi aiutare; le italiane hanno una sorta di “orgoglio” che impedisce loro di rivolgersi a certe strutture; nelle piccole realtà questo atteggiamento è purtroppo esasperato proprio perchè tutti si conoscono e si teme di venire additate…)
    inoltre come dici tu, non ritengo sia sufficiente come impegno economico soprattutto se i motivi economici dipendono dalla mancanza di un lavoro!!!!

  2. mah…da noi il cav funziona bene..sei sicura che vanga mandato avanti dalle nonnine? perchè anche qui ci sono molte nonnine che fanno volontariato, ma la gestione è in mano al movimento per la vita e agli assistenti sociali…ti aiutano anche a trovare un lavoro e se vuoi ti danno un posto dove stare…e un sostegno psicologico…