Il commento di nonna Rossellla al mio primo articolo su MA, mi offre lo spunto per una nuova riflessione sulla pratica del portare i bambini.
Nonna Rossella, riferendosi alla sua esperineza di mamma, commenta: “… mia figlia con la sua voglia di vivere la maternità in modo consapevole e, a volte, contro corrente, mi ha fatto rimpiangere, quando sono diventata mamma a mia volta, di aver ascoltato troppo spesso i “buoni consigli” delle persone più “esperte” di me nell’essere mamma”
Ma perchè accadeva e accade questo? Perchè la mamma, pur avendo in sè tutti gli strumenti per accudire il suo bambino, il famoso istinto materno, si sente spesso scoraggiata, frastornata, in preda ai mille consigli che vengono elargiti da più parti?

L’istinto materno, legato alla parte meno razionale del nostro io, negli ultimi decenni è venuto un pò meno: istinto materno e relazione madre-bambino sono state disturbate da elementi esterni.  Siamo abituati a tenere sotto controllo tutto, a programmare, a razionalizzare, a stabile tabelle di marcia, e abbiamo perso per strada la capacità di ascoltare il nostro istinto che, per definizione, è legato alla parte meno razionale del cervello.

In questo senso la pratica del babywearing ci viene in aiuto diventando uno strumento per rafforzare sia il legame genitore-figlio, sia la fiducia della mamma nelle sue competenze.

I benefici effetti che derivano dal portare innescano un circolo virtuoso: il bambino portato piange meno (cfr ricerca Hunziker), la mamma è in grado di rispondere prontamente ai bisogni del suo bimbo, si sente più competente, più capace, più forte nel portare avanti le sue scelte, sebbene i consigli dei “cosidetti esperti” arrivino da più parti.

Questo non significa chiudersi al confronto, ad idee differenti rispetto alle nostre o non mettersi in discussione. Significa ascoltare opinioni diverse in merito a “stili di maternage” differenti, senza però vacillare e andare in crisi sulle scelte che abbiamo fatto come mamme.

Ecco che anche in questo frangente, il portare non può essere visto come un semplice mezzo di trasporto sostitutivo al passeggino, ma come strumento di relazione con il proprio figlio e con sé stesse e con il proprio vissuto.

Serena Mammacanguro

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