I compiti a casa spesso minacciano la serenità familiare e sono considerati un supplizio sia da bambini e ragazzi, che preferirebbero fare altro, che dai genitori, per cui non è facile individuare l’atteggiamento più opportuno da adottare al riguardo.
Conviene essere permissivi o autoritari? Intervenire o lasciarli far da sé anche se sbagliano? Come si può aiutarli davvero?
Per rispondere a queste domande, prendiamo spunto dai racconti di alcuni genitori:
“Papà per domani ho troppi compiti e poi questo esercizio è così difficile … non ce la farò mai da solo… mi aiuti?”.
Per rispondere adeguatamente ad una simile richiesta, bisogna prima di tutto capire da cosa è motivata. Oltre ad una reale difficoltà, infatti, potrebbe nascondere il desiderio di ricevere attenzioni o di sentirsi rassicurati dalla vicinanza dell’adulto.
Potrebbe anche essere, però, che il bambino/ragazzo sia stato abituato ad essere aiutato e, perciò, non provi neppure a fare da solo, perché considera più comodo e conveniente affidarsi agli altri.
Il figlio deve sempre sapere di poter contare sul sostegno e l’amore del genitore, ma ciò non deve significare adagiarsi e impigrirsi, dando per scontato l’aiuto dei “grandi”.
Allo studente che si avvilisce davanti ad un carico eccessivo di compiti, si può consigliare di partire da quelli più difficili, lasciando in ultimo –quando sarà più stanco- quelli più facili o piacevoli da svolgere.
È anche utile aiutarlo ad organizzarli su base settimanale, programmando di anticiparne alcuni nei giorni in cui è più libero.
“La sera torno tardi dal lavoro e mia figlia spesso ha ancora i problemi di matematica da fare e poi ci sono la cena da preparare, la casa da riordinare e il tempo sembra non bastare mai… Di solito, per fare prima, glieli finisco io…”
Sostituirsi al figlio, non solo non gli consente di verificare l’effettiva comprensione del compito, ma neppure di imparare a ragionare autonomamente o ad organizzare lo studio. Inoltre, non insegna ad aver fiducia nelle proprie capacità.
Fin dalla scuola primaria, il bambino deve ad assumersi le proprie responsabilità e imparare ad avere un adeguato grado di autonomia.
Ciò vuol dire anche prepararsi da solo la cartella e i vestiti la sera prima, per essere sicuro di non dimenticare nulla e di non perdere tempo la mattina.
“Ieri mio figlio è risultato impreparato su un argomento che avevamo ripetuto insieme decine di volte. Tutti i pomeriggi li dedichiamo interamente allo studio, perciò ne sono rimasta molto delusa, oltre che sorpresa. Sono subito andata a parlarne con l’insegnante, che mi ha detto che, probabilmente, è il risultato di un’eccessiva pressione da parte mia…”
“Ogni sera verifico sempre che mia figlia abbia svolto correttamente tutti i compiti. Con sorpresa e rammarico, però, ho scoperto che lei di proposito evita di segnarli tutti sul diario, per impedirmi di controllare!”
“E’ sempre una lotta far fare i compiti a mio figlio… Se non minaccio di punirlo, non riesco neppure a farlo sedere alla scrivania…”
Il genitore, aiutando il proprio figlio nello studio, deve far attenzione a non uscir fuori dal suo ruolo per salire in cattedra.
Dovrebbe approfittare del tempo trascorso insieme per rafforzare il loro rapporto, confrontarsi con lui, conoscerlo meglio e approfondirne gli interessi.
Studiare richiede serietà, concentrazione e impegno, che bisogna ottenere con un atteggiamento fermo e serio, autorevole, ma non autoritario.
Non ha senso studiare –o fingere di farlo- solo per evitare rimproveri o punizioni. Vanno trasmessi la passione per l’apprendimento e l’importanza del senso del dovere.
In presenza dei figli, si dovrebbe anche evitare di criticare gli insegnanti o sminuirne l’autorità.
Eventuali problemi o critiche andrebbero discussi con gli altri genitori e poi direttamente con i docenti, in un clima di costante collaborazione.
Mettere eccessivamente sotto pressione i figli, inoltre, può essere controproducente.
L’ansia di non deludere i genitori per essere sempre all’altezza delle loro aspettative, può infatti farli bloccare o rendere meno di quanto potrebbero.
Le verifiche e i controlli dell’adulto, infine, devono essere motivate da un sincero interesse per la vita scolastica del figlio e non da una mancanza di fiducia.
Riassumendo, come si può, dunque, aiutare davvero il proprio figlio nei compiti?
• Prima di tutto, bisognerebbe mettergli a disposizione un tavolo o una scrivania adeguatamente illuminati, dove potersi sedere compostamente, invitandolo a prepararsi a portata di mano tutto l’occorrente (così non avrà scuse per alzarsi!).
Ovviamente niente distrazioni, perciò possibilmente niente cellulari, tv, videogiochi o eventuali fratellini o cagnolini che giocano nella stanza.
• Non ci si deve mai sostituire a lui. Più che fornirgli risposte, meglio aiutarlo a porsi le giuste domande per avvicinarsi gradualmente, ma autonomamente, alla soluzione.
Va spronato a fare da sé, abituandolo a ragionare e a rileggere ciò che ha scritto per potersi eventualmente autocorreggere.
• È fondamentale aiutarlo ad imparare un giusto metodo di studio e a seguire le indicazioni date dagli insegnanti. Proporre altre strade potrebbe confondergli le idee.
• Lo studio è per lo più considerato un noioso dovere, esclusivamente finalizzato a non prendere brutti voti a scuola.
Per aiutare il figlio a non considerarlo un insieme di nozioni astratte e inutili, si può far leva sui suoi interessi e integrare le notizie contenute nei libri con curiosità o aneddoti che gli restino impressi, rendendo la lezione più appassionante.
Anche dvd e visite a mostre o musei, per esempio, possono essere d’aiuto. Per far sì che non impari la lezione a memoria ma che la comprenda davvero, si può anche aiutarlo ad inquadrare l’argomento in modo interdisciplinare e collegarlo alle lezioni precedenti.
• Quando sono necessarie ricerche su internet, è opportuno monitorarne l’utilizzo.
• Le richieste di aiuto meritano opportuna attenzione. Il genitore, perciò, non deve criticare il figlio o deriderlo per l’eventuale banalità dei suoi errori. Sminuire le sue difficoltà o sottolineare la facilità del compito sbagliato equivarrebbe ad umiliarlo e cio’ potrebbe farlo bloccare.
• Lo studio, ovviamente, è una priorità, ma è importante anche vedere gli amici, giocare, praticare uno sport, coltivare un interesse o, perché no, annoiarsi. E’ fondamentale, perciò, aiutare il figlio ad organizzare efficientemente il proprio tempo.
• L’atteggiamento giusto dell’adulto è improntato alla calma, alla serenità e alla fiducia, ma anche alla serietà e alla fermezza, soprattutto davanti alle proteste dei figli che non vogliono fare i compiti.
• Bisogna complimentarsi per i successi ottenuti, ma ponendo l’attenzione soprattutto sugli sforzi e l’impegno messi per raggiungerli, più che sui risultati.
Gli eventuali brutti voti devono spronare a far meglio e non essere vissuti come una tragedia, né dall’adulto né tanto meno dal figlio, che non deve mai dubitare della stima e dell’affetto incondizionato dei suoi cari.
• Una guida e un sostegno sono opportuni soprattutto in corrispondenza dei passaggi da una scuola all’altra.
Questi sono eventi sempre un po’ traumatici per gli studenti, che devono abituarsi a nuovi ritmi di studio e nuovi metodi educativi.
Nella scuola primaria, la presenza del genitore dovrà essere più costante, soprattutto per supervisionare l’organizzazione dello studio. Poi pian piano bisogna intervenire sempre meno, mettendo il figlio in grado di far da sé.
Concludendo, aiutare davvero un figlio a studiare significa aiutarlo a non aver bisogno di aiuto!
Ciò prescinde dalla specifica materia, ma riguarda la capacità di sapersi organizzare nei tempi e nelle modalità di studio, nonché la capacità di saper far fronte ai propri impegni e alle proprie responsabilità.
Per approfondire:
Oliverio Ferraris Anna, “Non solo amore: i bisogni psicologici dei bambini”, Giunti Editore, 2005
Daffi Gianluca, “Missione compiti. Manuale di sopravvivenza per i genitori”, Edizioni Erickson, 2009.
Foto tratte da Google
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