Nelle famiglie allargate vivono uomini e donne, generalmente conosciuti come patrigni e matrigne, che svolgono compiti genitoriali esattamente come i genitori biologici, ma per la legge non esistono. Se il minore va ritirato da scuola, oppure deve essere accompagnato in ospedale, matrigna e patrigno, per la legge, non possono farlo. In Italia non c’è una legislazione che riguarda i cosiddetti terzi genitori, ad eccezione di un istituto – quello dell’adozione del figlio del coniuge – che poco si adatta alle famiglie allargate di oggi. Mammatrigna ne ha parlato con l’avvocato Camilla Cozzi, esperta di diritto di famiglia.
Ci descrivi in parole semplici come funziona l’istituto dell’adozione del figlio del coniuge?
Nella realtà delle famiglie allargate andare a prendere all’asilo un bambino che è figlio di tuo marito o tua moglie, ma non tuo, perché ha la febbre e il suo papà e la sua mamma non possono andare, può diventare un problema; e ovviamente diventa un problema grandissimo se decidi di divorziare da tuo marito o da tua moglie, i quali potranno decidere di non farti più frequentare il bambino o la bambina che hai contribuito a crescere anche per anni. Nel 1983 la legge 184, che riguarda l’adozione di minori in stato di abbandono e quindi certamente che non si riferisce ai bambini che appartengono a famiglie allargate, ha introdotto un tipo di adozione cosiddetta speciale, ossia l’adozione di un minore da parte del coniuge del genitore del bambino. Questo tipo di adozione viene definita speciale perché ha effetti particolari rispetto a quella a cui siamo abituati. In origine questo istituto è stato pensato soprattutto per i casi di genitore rimasto vedovo con figli che si risposa, o nel caso di bambini e bambine non riconosciuti, quindi con un solo genitore. Poiché la legge non prevede questa limitazione, l’adozione particolare in realtà può essere richiesta anche nel caso in cui l’altro genitore sia un genitore divorziato con affido condiviso.
Questo significa che un bambino potrebbe avere tre genitori?
In un certo senso sì. Ma vediamo meglio. Per ottenere l’adozione del figlio del coniuge, e se dico coniuge è perché questo istituto vale solo per le coppie coniugate (non si applica nel caso di coppie conviventi more uxorio…), è indispensabile il consenso dell’altro genitore. Questo istituto, infatti, ha lo scopo di dare fondamento giuridico a rapporti affettivi maturati nel tempo e consolidati tra un bambino o una bambina e il marito o la moglie del proprio genitore, senza recidere i rapporti che il minore ha con l’altro genitore.
In che senso l’adozione del figlio del coniuge è un’adozione speciale?
È un’adozione speciale perché costituisce un rapporto adottivo non al posto di un precedente ed estinto rapporto di filiazione (come accade nell’adozione di minore in stato di abbandono), ma accanto a un persistente vincolo tra il bambino e i suoi genitori biologici. Il bambino adottato dal marito o dalla moglie del proprio genitore non acquista legami di parentela con la famiglia del genitore adottante e mantiene lo status di figlio rispetto ai suoi genitori biologici, conservando diritti e doveri nei confronti della famiglia di origine.
Quali sono i rapporti rispetto alla famiglia d’origine del bambino e del terzo genitore?
Con questa adozione speciale il bambino adottato mantiene i diritti successori rispetto ai propri genitori biologici e ai loro parenti secondo le normali regole; diviene inoltre erede anche del genitore adottante, ma non dei di lui parenti. Il genitore adottante, invece, non diviene erede dell’adottato e non partecipa in alcun modo alla successione dell’adottato.
Perché l’istituto è così poco utilizzato con le famiglie di oggi?
Perché limita molto il ruolo del genitore biologico e i rapporti tra i tre genitori. Il legislatore, nel 1984, ha prediletto una tutela dell’interesse della prole, che transita per l’estromissione del genitore biologico al fine di garantire un nuovo nucleo familiare con i caratteri della stabilità e della certezza “formale” dei rapporti, con ciò rinunciando a regolamentare veramente la figura del terzo genitore e non realizzando una vera inclusività nel modello familiare allargato.
Diciamo che dal 1983 a oggi di acqua ne è passata sotto i ponti…
Appunto. E si aggiunga che dal 2006 è stato eliminato, salvo eccezioni, l’affido esclusivo (che di solito era di pertinenza della madre), a vantaggio di un affido condiviso che mette al centro il mantenimento della relazione con entrambi i genitori. Oggi nella maggioranza dei casi i figli di genitori divorziati sono affidati a genitori che desiderano occuparsene, anche sotto il profilo economico, non intendendo affatto delegare tout court ad altri il proprio ruolo, ossia al novo marito o alla nuova moglie del proprio ex. Per questo l’istituto dell’adozione del figlio del coniuge, come formulato nel 1983, non può funzionare.
Cosa dovrebbe fare il legislatore oggi, alla luce dei cambiamenti sociali e delle strutture familiari?
Le famiglie allargate devono pretendere un intervento ad hoc, che introduca un modello realmente inclusivo e che accolga la figura del genitore “sociale” (o terzo genitore). Vanno previste forme di coinvolgimento attivo e giuridicamente riconosciuto ai genitori di fatto, sul presupposto di una relazione affettiva significativa tra il bambino e il genitore “sociale”, nonché di un’altrettanta significativa relazione tra il genitore sociale e i genitori biologici come già accade in Gran Bretagna e in Francia.
Da quando esercita come avvocato, ha mai seguito casi di adozione del figlio del coniuge?
In 17 anni di professione ho seguito almeno una decina di casi e otto su dieci hanno riguardato l’adozione del figlio del coniuge quando non era presente il padre biologico (per esempio quando il figlio non era stato riconosciuto ndr). Solo in due casi, due papà che avevano diritti di visita e non l’affido condiviso dei propri figli (che è stato introdotto come regola nel 2006), hanno prestato il consenso all’adozione da parte del nuovo marito della moglie, per problemi economici e di distanza geografica, dal momento che entrambi si erano trasferiti da Milano in altre città, piuttosto distanti.
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