Nell’ultimo libro di Vittorino Andreoli, serissimo psicoterapeuta italiano, le famiglie allargate o ricostituite finiscono alla gogna. Andreoli, che è tutt’altro che bacchettone, spiega che allargare il nucleo familiare è una finzione. La famiglia, in quanto tale, è costituita da genitori e figli. Punto. Il fatto che oggi la metà o oltre dei matrimoni finisca, che i genitori abbiano altri figli da altri compagni e i figli altri genitori o figure di riferimento, secondo Andreoli, è il segnale più evidente della crisi della famiglia e di conseguenza della crisi dell’educazione.
Il saggio, che si intitola L’educazione (im)possibile, tenta di analizzare i motivi per cui oggi sia tanto difficile educare. Andreoli non vuole offrire ricette facili. Non dice: siate severi, o siate amorevoli. La sua analisi è più profonda, direi esistenziale.
Il passaggio sulle famiglie allargate, però, ci interessa. Andreoli non ne vuole parlare male da un punto di vista morale. Crede, però, che siano il segnale della confusione che regna sotto il cielo. Una confusione che è lo specchio del caos sociale, di lavori sempre più precari, di mancanza di prospettive, di una leggerezza e un modo di vivere che lui paragona a quello delle farfalle: insetti belli, che vivono alla giornata, senza costruire le basi per un futuro.
Allora, dice lui, il passare da una casa all’altra, avere due o tre genitori, fratelli e sorelle a metà, è un pericolo.
Ci permettiamo di non essere d’accordo.
Il punto, secondo mamma matrigna, non è l’ambiente in cui crescono i figli. Se allargato o tradizionale. Il punto è se i genitori hanno ancora voglia di educare. Che significa mettersi in gioco, impegnarsi, faticare e magari sbagliare. I figli di matrimoni falliti possono avere risorse straordinarie, anche perché affrontano situazioni di disagio che li fanno crescere. Vivere nella bambagia, con mamma e papà assieme ma magari assenti in pensieri e azioni, è molto più deleterio di vivere sballottato tra due case con due genitori che non si amano più, ma amano fortemente i loro figli e si impegnano a crescerli, pur nelle difficoltà pratiche e logistiche.
La differenza è solo l’intelligenza e l’amore. Io ho sempre sottolineato che la famiglia allargata costringe a porsi delle domande, a mettere in crisi dei modelli precostituiti, a interrogarsi, ad ascoltare. E’ una famiglia aperta al diverso e curiosa. Tutto sta nel coltivarla con amore e cura.
Non voglio, con questo, dire che le famiglie tradizionali siano peggiori. Anzi. Proprio nell’ultimo post mi chiedevo se i figli di divorziati sapranno mai cosa significa creare un legame duraturo.
Eppure credo che Andreoli abbia ragione: il punto è ripartire dai valori fondanti dell’essere umano. Ripartire dall’origine e dalla fine. Dalla vita, e dalla morte. Dalle grandi domande: perché siamo qui e che scopo abbiamo nella nostra vita.
Credere, come scriveva Pirsig in Lo zen e l’arte della manutenzione della bicicletta, che solo le azioni fatte bene, con amore e cura, hanno un senso.
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16 Comments
cara MIchi, mi permetto di intervenire ancora una volta.
L’antropologia ha parecchie cose da dire e più fondate di ogni altra “scienza umana” ma, per qualche motivo, è forse la disciplina la più negletta tra queste.
Psicologi e sociologhi spesso cercano di costruire delle strutture di normalità, intendendo una “normalità umana” ovviamente non morale. L’enorme falla in questa impresa, degnissima, di comprensione di ciò che è umano è che, inevitabilmente, essi tendono a reificare e a naturalizzare certe realtà che ad uno sguardo più fine risultano in realtà profondamente “sociali” e culturali.
Per dire, la triade più importante di famigerate nozioni storicamente “naturalizzate” che sono invece realtà socio-culturali è costituita da “sesso”, “razza” e “età”. Non è qui il momento per discutere di questo, comunque.
Un altro elemento che spesso viene naturalizzato, anche da persone altrimenti intelligenti e bene informate, è la relazione genitore – figli.
Il dibattito recente e vivacissimo in Francia sulle adozioni omosessuali ne è stato un esempio flagrante. Le persone non accettano che una cosa [i]naturale [/i]come il triangolo “padre-madre-figlio/a/i” possa essere messo in discussione.
Anzi, proprio perchè questo (e altri) elementi considerati “naturali” fanno parte della costruzione del loro “universo di senso”, il fatto stesso di metterli in discussione li fa sentire intimamente e oscuramente minacciati. Paura profonda a cui reagiscono, come sempre, con l’aggressività.
Il problema è che molte persone non comprendono che la “famiglia”, come ogni altra istituzione sociale, è un espediente costruito per ottenere uno scopo.
Lo scopo della famiglia, e quindi del grande feticcio moderno de “l’educazione”, è la [i]riproduzione sociale[/i]: la società che ricrea se stessa.
La società industriale e di mercato ha fatto un ottimo lavoro per far credere che lo stile di vita che essa impone agli individui sia “naturale”.
In realtà, la nozione stessa di famiglia mononucleare “padre-madre-figlio” è una delle più recenti e curiose invenzioni della rivoluzione industriale. La famiglia, in quasi ogni società e in quasi ogni epoca, ha sempre incluso differenti generazioni e differenti gradi di prossimità tanto nella cura che nell’educazione dei bambini, e questo perchè storicamente i raggruppamenti familiari erano anche i raggruppamenti produttivi, all’interno di una comunità di raggruppamenti produttivi.
L’educazione era quindi concepita per riprodurre capacità utili alla famiglia e, di conseguenza, alla comunità.
Il tanto evocato caos sociale, la disgregazione delle famiglie, dell’educazione, e via discorrendo, è semplicemente la crisi di un modello di produzione e di consumazione tra i più patogeni e tra i meno efficienti che la storia sociale umana ricordi. Niente di più.
Che gli individui cerchino di liberarsi dai soffocanti lacci ideologici per cercare una vita più soddisfacente è solamente un buon segno, soprattutto se nei loro tentativi non utilizzano le vecchie ipocrisie di amanti e prostitute del bel tempo andato ma affrontano coraggiosamente la disapprovazione sociale e cercano altre persone con cui affrontare il mondo e, più importante, il giorno seguente.
E’ chiaro, non si può semplificare: i genitori hanno anche un ruolo cognitivo fondamentale di “esempio” nella strutturazione del bambino.
Ma non è il legame biologico a costituire un adulto come esempio, ma la vicinanza, l’affetto, la cura, il rispetto.
In altre parole, e l’antropologia lo conferma, “genitore” è chi si prende cura di te e ti fornisce l’esempio su cui costruirti come membro competente della società di cui fai parte.
Tutto il resto è solamente l’ideologia naturalizzante con cui ogni società prova ad ammantare i propri strategemmi.
un bacio
Dd
Dd dice: “genitore” è chi si prende cura di te e ti fornisce l’esempio su cui costruirti come membro competente della società di cui fai parte. Io mi chiedo: come può un genitore che vede suo figlio un fine settimana ogni due “prendersi cura di lui e fornirgli l’esempio…”? Non ditemi che la qualità è meglio della quantità. Senza una “quantità” minima non esiste qualità. Sono d’accordo con Vittorino Andreoli quando dice che un matrimonio che finisce è il segno della crisi della famiglia. Un matrimonio che finisce è comunque sempre una sconfitta e, se ci sono figli, una sconfitta non solo della coppia ma anche della famiglia! L’intelligenza e l’amore da te Michela citati, dovrebbero in primo luogo essere usati per non distruggere la famiglia. Con questo non voglio dire che le famiglie allargate siano peggiori delle famiglie normali (che brutto termine! come se sapessimo perfettamente cosa è normale e cosa non lo è!). Dico solo che, se due adulti “decidono” di andare per strade diverse, creeranno nei loro figli (che non “decidono” ma “subiscono”) confusione e dolore e che non sarà facile il cammino futuro nè per i genitori nè per i bambini. Nel libro che tu citi, Vittorino Andreoli fornisce anche qualche consiglio per mantenere “viva” la coppia. Proviamo a metterle in pratica!
Cara nonna maria: la coppia è viva finché è viva. Io non credo nell’accanimento terapeutico. Scusa se sono spiccia, ma ognuno risponde di se, dei propri fallimenti, o dei propri successi, davanti a dio (per chi ci crede) o davanti alla storia.
Venendo al fatto che non si può essere genitore vedendo un figlio due giorni ogni 15, permettimi, sbagli: non solo si può, ma si può fare bene. Questa idea che il genitore separato, soprattutto il padre, sia una meteora lontana dai figli è sbagliata e frutto di generalizzazioni. Sopratutto oggi che nelle famiglie i genitori lavorano entrambi, stanno sempre meno tempo coi figli, e dunque – chi ha amore e intelligenza- punta alla qualità visto che la quantità non è più data. La sottoscritta per 4 giorni alla settimana accompagna i figli a scuola e li rivede il mattino dopo..perché il suo lavoro la riporta a casa alle 22. Ma non mi si dica che non sono una madre/genitore! Forse non una mamma di una volta..ma altro tipo di mamma. Non per questo meno impegnata a crescere i propri figli con cura e amore.
Michi non è davvero secondo me una questione di abitudini.
Io prima, per il lavoro, mio figlio lo vedevo un’ora al giorno. Solo la mattina. L’ho fatto per tantissimo tempo ma ti assicuro che ora, che mi vede molto di più, che passiamo interi pomeriggi insieme, soffre molto di più perché si deve allontanare da me, dalle persone che ama molto spesso.
Non è una questione di calendario, di orologio, di organizzazione. E’ un’altra cosa. E’ legato alle certezze che tu hai, come figlio, alla sicurezza degli spazi, degli affetti, della presenza.
Ed è doloroso.
E ti dico, anche quando le cose vanno bene, quando riesci a far stare tutto in equilibrio, questo non è un dolore da niente, è qualcosa che c’è, dentro di loro (e dentro noi genitori) che col cavolo che con l’amore e basta se ne va
Io sono totalmente d’accordo con NonnaMaria.
C’è un dolore profondo in una separazione, nella famiglia disfatta. Non solo per i figli, posso assicurare. Ma anche chi di quella disfatta ne è stato fautore.
Che poi, se accade, si fa di tutto per far sì che le cose vadano bene, certo è un altro discorso. E credo che un padre partime non sia come un padre fulltime (spesso quasi più per lui che il figlio per dire, ma non ne sono sicura).
Puoi essere un bravissimo genitore per quelle due ore, due giorni di weekend, due settimane di vacanza e l’amore arriva, devi fare degli sforzi per farlo arrivare ma può arrivare. Ma c’è un problema di fondo, il problema della MANCANZA.
Io sono separata. Da due anni, quasi tre. E non sapete quante volte ho sentito dire a mio figlio “mi manchi mamma” “mi manca papà”. Quasi tutti i giorni. Credetemi. Io quando ci sono ci sono eccome, con tutto l’amore e l’intelligenza del mondo. Ma senso di mancanza, il sapere che qualcuno non c’è e non può esserci è terribile. E’ brutto quando lo sento io ed è devastante vederlo in un bambino.
E Michela, non l’ho scritto pensando a te, giuro, ma ho proprio parlato delle famiglie allargate oggi sul mio blog http://www.castagnamatta.com/2014/01/famiglie-appiccicate.html
L’amore non basta.
Quanti pensieri. Quanto dolore, anche. Quanta rabbia. Inevitabile… Il dolore è un’agonia. La rabbia un cancro. Anche io posso vederla così: posso pensare che mio marito sia stato un mostro a separarsi con una bimba piccola. Posso credere che sua figlia crescerà menomata per la mancanza di una famiglia unita. Posso pensare che i miei figli cresceranno infelici perché passano più tempo a scuola e con la tata che con me..posso colmare le mie giornate di sensi di colpa, angosce, pensieri tenebrosi. L’ho fatto per un periodo lungo. Non era un bel vedere. Perché dei sensi di colpa e del dolore rimestato e della rabbia rimuginata non ce ne facciamo nulla. Non sono ingredienti da cui esce una buona torta. No. Io ribadisco: amore e intelligenza. Ascolto e gioia.
Dove amore non è soffocare di coccole o caramelle, intelligenza non è risolvere le radici quadrate a 3 anni; ascolto è pazienza e attesa; gioia é sorridere, rallegrarsi del quotidiano, cantare, godere della vita. Momento per momento.
Questa è la vita. E solo una c’è n’è data. E gli errori sono inevitabili. E le difficoltà sono continue: ma si guardano e si affrontano. E ai bambini si spiegano. L’unica vera minaccia é l’ipocrisia. Ma chi si scrive un blog come mamma matrigna può avere tanti difetti ma non quello….
Cosa ne sarà di noi come società, generazione? Questo non lo so. Ma non mi piace pensare che saremo per forza peggiori di coloro che ci hanno preceduto. Saremo a volte migliori, a volte peggiori. Nell limitatezza dell’uomo (quest’ ultimo pensiero per rispondere a Andreoli)
Leggo con molto piacere ciò che ognuno porta quale pensiero e/o esperienza personale, ma di una cosa mi rammarico sempre in queste dedicare tematiche, e cioè che pochi scrivano del dolore, profondo e forse, e purtroppo, taciuto, che un bimbo prova nel percepire il “nulla”, il “non amore”, o peggio ancora, il rancore, il disprezzo di un genitore verso un altro genitore..già perché io credo che nel momento in cui, per svariati motivi, i due componenti della coppia non siano più in sintonia,
…la costrizione di dover condividere la vita, magari proprio “per il bene dei figli” ( ed anche il dr Andreolli scrive proprio di questo) porti con se un fardello indescrivibile proprio per il bimbo, che è così caricato di una responsabilità che non riesce a portare, che lo può addirittura “ammalare”. Certo la cosa migliore per un bimbo sarebbe crescere con due genitori che prima di tutto si amano, e quindi lo riescono ad amare come si merita, e che non mollano certo alla prima crisi, ma, ahi noi, purtroppo talvolta non si tratta di crisi passeggere, ma profondi cambiamenti che colgono un componente della coppia e che lo portano, suo malgrado, a scegliere di vivere diversamente. Io credo proprio che se un bambino che vede un genitore lottare in modo sano ed autentico, senza venire meno alle proprie responsabilità d’amore in primis verso il figli, per la propria felicità, imparerà a lottare anche per la priora felicità…quindi condivido che sempre tutto dipende dall’autentico amore e dalla intelligenza , che inevitabilmente portano, anche se talvolta con delle sofferenze, comunque amore.
E’ un tema al quale penso spesso, avendo avuto intenzioni di divorziare -e ci ripenso regolarmente, lo confesso..Però non so cosa dire, che non sia banale o non-pertinente, perché di fatto non ho mai vissuto questa condizione da vicino o da lontano, solamente in pensiero di “futuro possibile”. io pensavo spesso “non voglio che i miei figli abbiano questo papa come esempio e questa nonna come esempio, voglio cercarne degli altri, con valori più idonei”. volevo scegliere un altro padre “da curriculum” insomma…(vabbe). In effetti Michela, la testimonianza della mamma separata che soffre molto è terribile: lei vive la situazione dall’altra parte rispetto a te, dall’altra parte deve essere difficilissimo. Io ho sempre pensato che c’è un papa biologico, è vero, quello è uno solo. Ma ci sono anche altri papa possibili, adottivi, e così anche altre mamme, la cui ricchezza e apertura può solo, a lungo termine, portare “il bello” ai bimbetti. Io penso solamente che mi piacerebbe che i miei figli avessero due papa, con i loro insegnamenti e le loro caratteristiche diverse. Ho anche notato che i miei due maschietti vivono esattamente come vivo io: se sono felice, loro sono felici. Se sono rilassata, loro sono rilassati. se ballo, loro ballano. se piango, piangono anche loro. Anzi, no: una mattina disastrosa sono scoppiata a piangere dopo un ora e mezza problemi lavorativi pesanti. Loro, in silenzio, sono andati nella loro stanza – ho pensato “odio li ho traumatizzati”. invece sono tornati dopo 3 minuti con tutti gli strumenti da musica-giocattolo che abbiamo in casa e mi hanno regalato un mini-concerto per farmi ridere. Hanno 3 e 4 anni. forse proprio le nostre forze le possiamo tirare anche da loro? queste piccole creature bestialmente pure e forti? Non so, perdonatemi se mi sono infilata in una discussione alla quale sono estranea. Auguro tanto alle mamme meravigliose e sole di ritrovare l’amore, attraverso figli, gatti, amici, la musica…quello che abbiamo. Poi un altro papa bis arriverà, con calma…
Cara MammaMatrigna,
sono quasi sempre d’accordo e piena di ammirazione per ciò che scrivi ma sta volta trovo cose che non mi quadrano! Potrei scrivere un libro su questo argomento, ma a pensare di scrivere poche righe di commento mi si bloccano le parole in bocca.. a no, nella tastiera.. a no… mi sa che mi si bloccano proprio in fondo al cuore. E’ quindi con il cuore in mano (e qualche anno di esperienza in merito) che ti dico che penso tutto e il contrario di tutto. Penso che se l’amore e l’intelligenza li avesse il mondo intero forse quello che dice sarebbe anche vero. Ma non siamo tutti uguali e molto spesso ci si scontra con realtà, educazioni e valori molto diversi. A volte assenti.
Quanto poi a “la coppia è viva finché è viva. Io non credo nell’accanimento terapeutico” è un concetto a me estraneo… chi la pensa cosi a mio avviso dovrebbe stare da solo fin dall’inizio. Quello che tu chiami “accanimento” per me si chiama “impegno”. E senza impegno non si costruisce niente. Come se uno avesse le farfalle nello stomaco per sempre.. Come se la vita di coppia fosse sempre rose e fiori.
Settimana scorsa sono stata a un matrimonio (giuro, c’è qualcuno che si sposa a metà gennaio) e una delle cugine dello sposo è stata invitata a fare un “discorso”. Ha concluso così “non vi auguro di essere per sempre felici e contenti perché sappiamo tutti che non sarebbe possibile, ma vi auguro di trovare ogni giorno l’amore e la motivazione per andare avanti, insieme”. Sottoscrivo. Non giudico certo chi non ce la fa e, anzi, sono pronta a dare tutto il sostegno del mondo quando questo fallimento bussa alla porta di una persona cara. Perché si, per me di fallimento si tratta.
Detto ciò, io il mio amore e la mia intelligenza ce li metto… e vediamo che succede…
cara zia franny
ho scritto la coppia è viva finché è viva, in risposta a nonna maria che suggeriva di seguire i consigli di andreoli su come mantenere viva la coppia…
il senso era che se a un certo punto una coppia scoppia, è peggio tenerla assieme in nome del principio della famiglia che affrontare dolore e separazione
ma naturalmente, come dici bene tu, “non siamo tutti uguali e molto spesso ci si scontra con realtà, educazioni e valori molto diversi”.
scusa se mi auto cito, ma nel secondo commento (in risposta a sabina) ho scritto:
“Questa è la vita. E solo una c’è n’è data. E gli errori sono inevitabili. E le difficoltà sono continue: ma si guardano e si affrontano. E ai bambini si spiegano. L’unica vera minaccia é l’ipocrisia. Ma chi si scrive un blog come mamma matrigna può avere tanti difetti ma non quello…”
La vita è un sentiero torto e pieno di spine
non un’autostrada asfaltata e liscia come ci vogliono far credere oggi le ideologie del benessere
un tempo le famiglie non si dividevano (non si poteva per legge, non c’era neppure il divorzio), ma il dolore, la mancanza, la sofferenza, le inadeguatezze sono sempre esistite
in ogni epoca
basta colpevolizzarci!
cerchiamo, piuttosto, di coltivare la nostra interiorità, di approfondire i nostri meandri, di tendere all’onestà, all’intelligenza, all’amore e a tutti quei valori che conosciamo perché “alti” e “virtuosi”
ricordandoci anche l’antico adagio
errare humanum est, perseverare diabolicum
cara zia Franny, perdonami, non ti conosco, non dovrei nemmeno intromettermi, ma credimi, davvero in certe coppie non è questione di impegno, ma di accanimento terapeutico, proprio come per i malati, fino a un certo punto è cura, poi è qualcosa di brutto e sbagliato.
carissimi tutti,
il dibattito è molto interessante, lo si vede soprattutto dal fatto che spinge le persone a portar fuori la loro intimità e la loro sofferenza. Vorrei aggiungere una parola, da adulto non genitore.
E’ vero, la qualità probabilmente da sola non basterebbe. La quantità ha un valore in sè, nelle frequentazioni e non solo tra genitore e figlio, ma anche tra genitori: quante coppie scoppiano perchè dopo qualche anno hanno cominciato a dar per scontato di “conoscersi”…e poi mancava proprio quel pezzetto che avrebbe impedito la crisi?
Però c’è un elemento ricorrente in molti commenti: la sofferenza del bambino
Ora, vorrei fare un discorso un po’ crudo, che nessuno potrebbe mai applicare al proprio figlio (neppure io, sia chiaro) e che ciò nonostante è vero.
La sofferenza non la si sceglie. Nè la scelta è MAI tra far soffrire o non far soffrire tuo figlio.
La scelta è spesso tra differenti tipi di sofferenza…e questa frase va pensata in relazione al fatto che esistono motivi molto, molto diversi per soffrire.
Un figlio che vede i due genitori “detestarsi”, combattersi, accanirsi l’uno sull’altro…o anche solamente mangiare in un silenzio ostile e senza amore, soffre.
Un figlio che vede i due genitori parlarsi e esausti decidere civilmente di separarsi pur continuando a mantere rapporti in virtu del figlio, soffre.
Ma sono sofferenze diverse.
Ogni bambino deve superare le sue sofferenze, per diventare adulto. Ma idealizzare “l’altra scelta” solo perchè quella che si è compiuta fa soffrire il proprio bambino è puro e semplice revisionismo.
Tutti noi siamo cresciuti nelle mancanze, nei lutti, nelle delusioni. E non sempre mancanze, lutti e delusioni sono venuti da figure lontane.
Siate umani, perdonatevi. Genitore è “chi fa del suo meglio”…e il suo meglio NON è MAI abbastanza. Mai.
Altrimenti, i figli sarebbero quasi tutti repliche dei genitori. Il bambino ci mette del suo. Spesso sono brutte cose (rancore, solitudine, paura) e insieme a queste, la volontà di andare oltre.
E voi come state rispetto alle vostre “brutte cose”?, ora che siete adulti, veramente vorreste, se poteste, cancellare con un colpo di spugna tutti gli sforzi tremendi di superarle? rinuncereste a quegli stessi sforzi che vi hanno resi adulti e consci della vostra forza?
Nessuno potendo accetterebbe una sofferenza per i suoi figli. Ma non era QUESTA la scelta…ricordatelo.
I bambini non sono né deboli né stupidi, solo inesperti.
E un genitore che riesce a capirlo farà molto meglio il suo mestiere di genitore…
Io mi chiedo, caro Damiano, come possono due genitori che, come dici tu, “si detestano, si combattono, si accaniscono l’uno sull’altro…” diventare, da separati, genitori che ASSIEME si prendono cura del loro bambino. Sono d’accordo con te che la vita è fatta anche di “brutte cose” che aiutano a crescere però permettimi di dire che privare un bambino di una famiglia è veramente una delle più destabilizzanti. Quale forza può avere un bambino che deve affrontare il fatto che mamma e papà non si vogliono più bene? Secondo me non riesce neanche a capire come sia possibile (ovvio che parlo di bambini piccoli)! Certo i bambini non sono nè deboli nè stupidi ma sarà più facile per loro affrontare le paure e i dolori se saranno accompagnati dai genitori.
io dissento da Nonna Maria. credo davvero, per averlo visto su amici con genitori che stanno assieme nonostante tutto, che il peggio del peggio sia di passare la propria infanzia a vedere le due persone che ami di più al mondo, non amarsi più. Avere una mamma spenta e triste perché “costretta” dal matrimonio a vivere 50 anni accanto ad un uomo che magari la tradisce, o non la rispetta, o gli è indirifferente…Vedere il proprio padre comportarsi “non tanto bene” come sano fare gli uomini ogni tanto, con quel grugno e quel fare vagamente strafottente – come pensiamo che questa madre possa insegnare correttamente ai bimbi i valori più importanti della vita: l’amore, la forza dell’amore e il coraggio che l’amore “fabbrica” se viene “assimilato correttamente”?
ci sono poi dei casi diversi:
– una mia amica francese ha divorziato perché suo marito è obiettivamente un furfante, un tipo davvero sospetto – dei quei business man tendenti al mafioso – pericoloso. lei ha fatto bene, lo ha fatto PER I SUOI BIMBI perché non è possibile crescere con un padre così ed è stata brava, ha fatto bene, è stata coraggiosa. Qua si tratta della madre-lupo che sceglie di proteggere i propri cuccioli. e di madri in questa situazione ce ne sono più di quanto possiate pensare
– alcune mamme, che ammiro e rispetto tanto, decidono di rimanere sposate “per i bambini” e si accontentano tutta la vita di una vita “da donna” terrificante. Pochissime sono molto brave a farsi forza e ad essere felici e sereni nell’abnegazione totale di se stessi, per i bimbi. Bene. Il problema è che poi, quando i figli diventano grandi, capiscono tutto l’arcano…e spesso finisce con 10 anni di psicanalisi e di sensi di colpa. Bene? io non saprei
– altre coppie – solamente io ne conosco parecchie- vivono nella mezza menzogna: uno dei congiugi tradisce l’altro, in modo appena velato. Magari la madre tradisce il padre ma siccome ha meno tempo perché qualcuno, dei figli, deve occuparsi, lei sta buona. la famiglia vive in un atmosfera finta, non libera, di sentimenti e rancori repressi, finto amore…ed e un abominazione crescere dei figli in questo contesto
– moltissime copie sono come io e mio marito: ho deciso di non divorziare perché mio marito, come uomo e padre, mi piace da morire ( è sexy e divertente) , però è un pessimo marito. Pazienza, anche se la vita quotidiana è dura; se non fossi sposata e se non avessi figli, lo avrei lasciato mille volte. Intanto mi tocca accettare cose e scendere a compromessi allucinanti, che mai avrei pensato di dover accettare, perché lui è mio marito. certo, i bimbi sono felici.
ma E GIUSTO COSì? e giusto che io debba fare una fatica bestiale per lasciare la nostra famiglia intera? e se domani incontro un uomo che superisce a tutte le mancanze di mio marito (che sono abbastanza pesanti) , cosa dovrei fare?
– vorrei però finire con una nota positiva: i miei genitori, diversi come il giorno e la notte, hanno avuto problemi di coppia per anni, anche pesanti. però non hanno mai smesso di essere innamorati, di amarsi – si vede, si capisce. a noi bimbe non importava tanto vedere loro due scambiarsi sguardi furiosi e battute acide a bassa voce, perché sapevamo che il giorno dopo li avremo visti mano nella mano. Litigano perché sono così tanto diversi da non poter fare diversamente. Anche qua, l’amore è l’unica cosa importante, che fa attraversare gli ostacoli e che da speranza. Se non fossero stati innamorati uno dell’altro si sarebbero lasciati e avrebbero fatto bene.
Cara Maria, i genitori che “si detestano, si combattono, si accaniscono l’uno sull’altro…” sono spesso, quasi sempre, brave persone che semplicemente non riescono proprio a vivere nella spaventosa intimita della coppia….spaventosa quando non c’è più amore!
E allora, una volta separati, ritornano le persone civili che lo starsi addosso impediva loro di essere…e in quanto tali, capaci di collaborare nell’educazione del comune figlio.
A volte, detestarsi non significa odiarsi. Significa non potersi stare addosso, pelle a pelle, carne a carne come è inevitabile in una coppia.
E secondo me, quello che veramente destabilizza un bambino è la sensazione oscura di cose brutte non dette, come è sempre nell’aria in una coppia che volendo separarsi non lo fa per via dei figli! (E poi magari il figlio scopre più tardi che papa o mamma hanno l’amante, no?)
Due genitori che si separano civilmente e che civilmente, senza sensi di colpa eccessivi, continuano a frequentarsi e a fare i genitori, sono una situazione INFINITAMENTE meno traumatizzante per un bambino.