Diagnosi D.S.A.: e ora? Questa è la domanda che ci siamo fatti nel momento in cui siamo usciti dall’UONPIA con la diagnosi e la relativa certificazione.
La domanda non è di poco conto perché si tratta di affrontare la questione dislessia sotto diversi aspetti: l’aspetto oggettivo, burocratico e l’aspetto soggettivo e psicologico.
Quali gli step da seguire dopo la diagnosi?
Per quanto riguarda l’aspetto burocratico noi abbiamo proceduto in questo modo. Innanzitutto abbiamo fatto più copie della diagnosi e della certificazione. Una (l’originale) l’abbiamo consegnata alla segreteria della scuola di Matilde, facendola protocollare (si tratta peraltro di un protocollo a parte al quale accede esclusivamente il Dirigente Scolastico).
Come seconda cosa abbiamo chiesto tempestivamente un colloquio con il Dirigente Scolastico.
Questo aspetto è molto importante perché si tratta di farsi conoscere e di dimostrare da subito la volontà di collaborare con la scuola per mettere in atto un’azione combinata in modo da permettere al bambino di vivere con serenità l’esperienza scolastica.
Il terzo step è stato chiedere un colloquio con gli insegnanti per iniziare a mettere nero su bianco (anche se non in maniera ancora ufficiale) quale potevano essere gli strumenti compensativi e dispensativi di cui la bambina doveva disporre e doveva utilizzare per affrontare efficacemente il lavoro scolastico. In quest’ occasione noi abbiamo consegnato una copia della diagnosi ad ogni insegnante (erano molti perchè per problemi di gestione interna degli orari alcune materie erano affidate a docenti di altre classi, per cui Matilde in quarta elementare aveva, se non ricordo male, sette insegnanti) .
L’ultimo passaggio è stato quello di firmare il PDP, cioè il Piano di Studi Personalizzato (nella nostra scuola si tratta di un documento chiamato Patto con la Famiglia), con l’indicazione di tutti gli strumenti compensativi e dispensativi che Matilde avrebbe utilizzato a scuola e a casa.
Adempiere alle incombenze burocratiche è stato ovviamente importante anche sei è stata decisamente la parte più leggera della questione.
L’aspetto più difficile è stato spiegare a Matilde il significato della diagnosi e il perché da quel momento lei a scuola avrebbe lavorato in maniera diversa dai suoi compagni.
L’impatto psicologico è l’aspetto più complicato e frustrante a volte.
Come spiegarlo ai bambini?
Noi abbiamo fatto affidamento su ciò che veniva suggerito sul un libriccino dell’AID ( Associazione Italiana Dislessia) nel capitolo dedicato proprio al come spiegare la diagnosi di dislessia ai propri figli.
Vi riporto quanto scritto ( i passaggi in neretto sono quelli, secondo noi e in base alla nostra esperienza, più significativi):
- se vostro figlio ha una diagnosi di dislessia, diteglielo. Non ci sono ragioni per tenerlo nascosto.
- spiegategli che la dislessia è molto comune, che probabilmente anche nella sua classe altri bambini l’hanno e forse anche nella sua famiglia qualcuno l’ha.
- potete dirgli che la dislessia è solo un nome per spiegare il perché dei bambini hanno difficoltà a imparare a leggere, a scrivere e a contare. In realtà siamo tutti diversi. Tutti abbiamo abilità e strategie differenti. Individuate qualche attitudine di vostro figlio, per esempio ad uno sport, alla musica, al disegno, al bricolage. Scoprire le sue capacità relazionali: è amorevole con gli animali, è simpatico, generoso, è dolce, è benvoluto… Insomma occorre trovare qualche lato positivo del bambino, che lui stesso riconosce, questo per far capire che ci saranno altri bambini che imparano subito a leggere e a scrivere e magari non hanno altre sue qualità. Questo è normale. Siamo tutti diversi.
- spiegategli che questo non è colpa sua, né dei genitori o della scuola. E’ qualcosa che succede senza motivo, come avere i capelli di un determinato colore, o gli occhi azzurri.
- ditegli che questo spiega il perché delle sue difficoltà a scuola.
- spiegategli anche che questa significa che bisognerà lavorare sodo, impegnarsi molto. Ma che questo avverrà con il giusto aiuto e con gli strumenti appropriati.
- preparatevi a dover ripetere queste cose più volte anche nel corso degli anni. Siate sempre pazienti e disponibili.
- se prima di sapere la diagnosi avete discusso con vostro figlio per i compiti e per i suoi insuccessi, ammettete il vostro errore. Non abbiate paura di chiedergli scusa, i bambini sanno perdonare molto bene.
- se vi è bisogno di un aiuto supplementare, magari per i compiti a casa, presentatelo come un’opportunità, non come una punizione.
- se gli aiuti supplementari vanno ad interferire con altre attività che gratificano il bambino, valutate attentamente se vale la pena di fare questo intervento.
- assicuratevi che vostro figlio sappia che anche se la scuola è molto importante è solo un aspetto della sua vita.
- se volete raccontare della diagnosi ad altre persone, parenti o amici, fatelo cercando di essere il più positivi possibile e dicendo le stesse cose che avete raccontato a vostro figlio. Eventuali discrepanze potrebbero arrivare a vostro figlio e peggiorare il vostro rapporto.
- assicuratevi che vostro figlio sappia che il vostro amore nei suoi confronti non dipende dai risultati scolastici.
Certamente queste cose non sono facili da fare. E’ difficile all’inizio accettare la diagnosi tranquillamente. Magari pensate “perchè mio figlio?” o “non è giusto!”. Questo è normale, ma appena il dispiacere iniziale è passato, occorre dirigere tutte le energie nella direzione di affrontare al meglio il problema per aiutare al meglio il bambino.
Questo è stato l’inizio.
Quello che è venuto dopo è stato forse ancora più faticoso…ve lo racconterò nel prossimo post.
di Catia Forcella, mamma di Matilde
photo credit: holtsman via photopin cc
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