Quello dei disordini del comportamento alimentare è un tema che come genitori ci preoccupa non poco e ci spinge sempre a mantenere l’attenzione alta verso il rapporto che i nostri figli hanno con il cibo. Milioni di persone nel nostro Paese ne soffrono e le conseguenze a livello fisico e psichico sono note a tutti.

Ma quando coinvolgono bambini e adolescenti? Come possiamo comprenderli? Come dobbiamo comportarci?

Il disagio alimentare di un bambino, perfino di un lattante, cela sempre un messaggio: esprime un malessere, una richiesta di attenzione. Ascoltarli, osservarli attentamente aiuta i genitori a cogliere questo messaggio.

Una tesi questa, sostenuta da Pamela Pace e Aurora Mastroleo, professioniste da anni impegnate nelle attività di prevenzione e cura dei disordini alimentari nei bambini e nei ragazzi da 0 a 16 anni promosse  dall’Associazione Pollicino e Centro Crisi Genitori Onlus. Attraverso il loro libro “Mangio o non mangio. I disordini alimentari e i bambini” edito da Mondadori Electa nella collana “Genitori e figli”, le autrici affrontano il tema per fasce di età, accompagnando il lettore dalla vita intrauterina, che pone le basi di una relazione equilibrata con la nutrizione, per tutta l’età evolutiva e fino alla pubertà, il momento di passaggio in cui emergono le maggiori fragilità, dando, con un linguaggio chiaro e immediato, gli strumenti di conoscenza necessari al genitore.disordini-alimentari-libro

Un libro che ci ha subito interessato e oggi, per approfondire l’argomento e capire meglio come comportarci, abbiamo con noi una delle autrici,  la Dottoressa Pamela Pace.

Dottoressa Pace, a che età generalmente iniziano a diventare visibili i primi segnali un possibile disturbo alimentare? 

L’équipe dell’Associazione ha proposto una classificazione dei disordini alimentari, che il libro riporta, differenziando i disagi dai disturbi alimentari.

I primi riguardano quadri meno seri, recenti nel tempo, in bambini che crescono normalmente e all’interno di un funzionamento familiare adeguato, come ad esempio:

  • bizzarrie alimentari: bambini che mangiano solo cibi di un certo colore o di un’unica forma;
  • bambini lenti a tavola o voraci;
  • difficoltà o rifiuto della masticazione in piccoli con una dentizione adeguata.

In genere si tratta di comportamenti oppositivi che veicolano un appello affinché mamma e papà, possano cogliere quel qualcosa che, emotivamente e psicologicamente, crea difficoltà, rabbie e/o paure.

I disturbi, cioè anoressie, iperfagie, obesità, si riferiscono viceversa a quadri più irrigiditi e severi, spesso accompagnati da altri disagi (disturbi del sonno, dell’evacuazione, della socialità) e da maggiori difficoltà relazionali all’interno della famiglia.

È però vero che anche in uno sviluppo adeguato, il neonato e il bambino possono manifestare un rifiuto ostinato del cibo in certi momenti del percorso di crescita, particolarmente impegnativi sia per il piccolo sia per mamma e papà, mi riferisco in particolare:

  • allo svezzamento
  • all’entrata nell’istituzione scolastica (nido, materna, elementari)
  • all’inizio della pubertà.

Questi tre tempi evolutivi, seppur nella diversità, hanno a che fare con il faticoso percorso della separazione e dunque della soggettivazione. Quanto detto mette in evidenza che già un neonato può manifestare un rifiuto del cibo legato a motivazioni psicologiche.

È vero che sono più frequenti tra la popolazione femminile?

L’osservatorio Pollicino ha mostrato un dato interessante rispetto alla differenza di genere: da 1 a 6/7 anni, la percentuale dei disagi alimentari tra maschi e femmine non mostra una sostanziale differenza se non per una prevalenza dei maschietti ( 59, 79%  maschi; 40,21% femmine). Viceversa dai 7/ 8 anni in poi (fino ai 18 anni), la prevalenza nell’universo femminile aumenta in modo significativo (19,44% maschi; 80,56% femmine).

Come si deve comportare un genitore che sospetta un disordine alimentare nel proprio figlio? Quali gli errori da evitare?

Il pediatra è il primo interlocutore indispensabile, al fine di poter accertare le condizioni di salute e dunque escludere cause organiche del disordine alimentare. Successivamente i genitori, magari sostenuti dal pediatra stesso, è bene che possano rivolgersi a figure e/o associazioni competenti, vale a dire a psicologi, psicoterapeuti, in grado di aiutare madri e padri a cogliere e tradurre il messaggio nascosto nel disagio alimentare del figlio.

L’insistenza del “dai mangia!”,  rincorrere il piccolo con il cucchiaio, così come utilizzi distorti del cibo da parte degli adulti  – ricattatorio: “se non mangi tutta la pappa non ti porto ai giardini”, intimidatorio: “se non finisci la bistecca chiamo il vigile” – rischiano di snaturare ulteriormente il significato del cibo e dell’atto alimentare, risultando improduttivi o addirittura controproducenti, laddove il bambino stesso, in un secondo tempo, può utilizzare tali strumenti per ricattare e/o far valere un potere, cioè tenere la famiglia in pugno. Come riporta con chiarezza il libro è importante che mamma e papà imparino a riconoscere e tenere distinti il piano dei bisogni fisiologici e quello delle richieste affettive.

Quali strumenti abbiamo a disposizione per prevenirli?

La prima vera prevenzione, come anche il libro cerca di chiarire, riguarda la consapevolezza in mamma e papà che il cibo è il primo oggetto affettivo e mangiare significa fin dalla nascita impegnarsi in una relazione affettiva. L’atto alimentare cioè non si esaurisce nella mera funzione fisiologia e di appagamento di un bisogno (la fame), bensì implica sempre la relazione con l’altro e fin dall’inizio si intreccia alla dimensione affettiva.

Il bambino al seno non è solamente nutrito da un insieme di sostanze che riempiono il pancino, ma si nutre di un particolare “cibo”, che va a riempire il cuore, cioè che risponde alla sua domanda d’amore, al suo desiderio di essere desiderato, di sapere quindi quale posto occupa nel cuore di mamma e papà.

Ciò permette ai genitori e agli adulti che in generale hanno a che fare con il bambino e l’ambito alimentare, di essere consapevoli dell’importanza della qualità dell’offerta del cibo, dell’influenza che l’esempio ha, laddove il comportamento alimentare si apprende dall’altro, e soprattutto che aprire o chiudere la bocca rispetto al cibo rimanda sempre ad una relazione e ad uno scambio, che può essere accettato e/o rifiutato dal piccolo.

Grazie alla Dottoressa Pace per questo interessante scambio, che ti certo ci lascia con tanti spunti su cui riflettere…

photo credit: pixabay

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