Quello di genitori è un ruolo bellissimo, quanto faticoso. Ogni giorno, nel tentativo di accompagnare al meglio i nostri figli nel loro percorso di crescita, di sostenerli nel prendere le misure con il mondo che li circonda, nel relazionarsi con gli altri, nel riconoscere e gestire le loro emozioni, siamo chiamati ad affrontare nuove sfide.

Un compito non facile, che ci porta a farci mille domande, a interrogarci se stiamo davvero svolgendo il nostro compito in maniera giusta.

Come aiutarli a diventare grandi seguendo le proprie inclinazioni? A essere sereni e sicuri di sé?

Ad affrontare questo tema, oggi qui con noi abbiamo Sofia Mattessich, autrice di Genitori che avventura!, un libro pensato proprio con l’obiettivo di fornire un aiuto concreto nell’educazione dei più piccoli, attraverso esempi pratici su come stimolare la fiducia in se stessi e nelle proprie capacità.

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Com’è nato Genitori che avventura!? A chi si rivolge?

Avevo notato che le difficoltà e i limiti dei genitori di oggi erano spesso gli stessi e che, nella maggior parte dei casi, fornire anche solo alcune conoscenze era già un grandissimo aiuto. Perciò avevo scritto all’interno di un’iniziativa di volontariato un vademecum per genitori, sintetico ma completo, che è stato molto apprezzato per la sua utilità, chiarezza e brevità; successivamente, l’ho pubblicato con la casa editrice San Paolo.

Il testo si rivolge non solo ai genitori, ma a tutti coloro che hanno a che fare con dei bambini: nonni, zii, baby-sitter, tate… Di recente, anche un’insegnante della scuola di infanzia frequentata dai miei figli mi ha riferito di averlo trovato molto utile. Gli esempi del testo si riferiscono ai bambini, ma ho ricevuto ottimi feedback anche da genitori di adolescenti, in quanto i principi-base dell’educazione restano in gran parte i medesimi.

Al’interno del libro è dedicato ampio spazio al tema delle emozioni. Ci racconta qualcosa di più?

Un individuo – di qualunque età – non necessariamente è consapevole dei propri sentimenti; la consapevolezza delle proprie emozioni, la capacità di discernerle e di gestirle non sono innate, ma si devono imparare. Il bambino piccolo sente dentro di sé una sorta di “magma” emotivo, una massa di sentimenti confusi che non sa distinguere né padroneggiare e che esprime direttamente nei propri comportamenti, senza avere la possibilità di riflettervi sopra.

Solo con il tempo e la crescita diventerà capace di riconoscere e gestire le proprie emozioni, ma imparerà a farlo in modo più o meno adeguato e da questa maggiore o minor adeguatezza dipenderà gran parte del suo benessere emotivo. I genitori e le altre figure educative vicine al bambino possono aiutarlo moltissimo in questo percorso; di qui la presenza in numerose scuole di progetti di “educazione alle emozioni”, certamente importantissimi.

Cosa possiamo fare concretamente come genitori per educare i nostri figli a riconoscerle e gestirle?

Il primo passo, assolutamente essenziale, consiste nell’aiutarli a dare un nome all’emozione che provano, per esempio dicendo: “Mi sembri triste/arrabbiato/contento/impaurito”. Poi dobbiamo aiutarli a descriverla – in modo che notino per esempio che quando si è tristi non si sorride, viene da piangere, si ha meno voglia di giocare e stare con gli altri bambini – e a identificarne la causa, spesso tutt’altro che evidente sia a loro sia a noi.

Lasciamo che i bambini abbiano il tempo di sperimentare i propri sentimenti quand’anche siano negativi, esprimendo loro sempre la nostra comprensione. Successivamente, insegniamo loro a trovare modalità adeguate per farvi fronte e – quando possibile – risolvere i problemi sottostanti: per esempio, nel caso di una delusione connessa a un fallimento, un bambino potrebbe tirarsi su pensando ai successi conseguiti in altre situazioni e riflettere su come impegnarsi per raggiungere l’obiettivo mancato; nel caso del dispiacere per il litigio con un amichetto, potrebbe trovare il modo di fare la pace.

È essenziale che i nostri figli imparino a verbalizzare le proprie emozioni, altrimenti saranno inevitabilmente incapaci di padroneggiarle e anche quando cresceranno – non riuscendo a distinguerle, né a esserne consapevoli – le esprimeranno direttamente nei loro comportamenti, senza avere la possibilità di riflettervi sopra.

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Come mai i maschi hanno più facilmente comportamenti aggressivi rispetto alle femmine? Si potrebbe pensare a fattori ormonali, come il testosterone, che predispongono all’aggressività, oppure a fattori culturali per i quali un comportamento aggressivo è meno disapprovato se attuato da un maschio; ma è ragionevole ricordare anche che le femmine – che mediamente hanno maggiori capacità linguistiche – sono tendenzialmente più abili a usare la parola e quindi a verbalizzare eventuali sentimenti di ostilità, piuttosto che a esprimerli direttamente nel comportamento.

La parola rende possibile la riflessione e il pensiero, prima che si passi all’azione; solamente l’aggressività che trova un’espressione verbale, uno spazio nella mente, può non venire “scaricata” nel comportamento.

Quali gli errori da evitare?

Un errore comune è la tendenza che può avere un genitore a ignorare o rifiutare le emozioni negative – proprie e/o dei figli – perché pensa che questo sia un metodo utile per superarle oppure semplicemente perché gli viene spontaneo ignorare e rifiutare ciò che è spiacevole.

Ma, cancellare rabbia, gelosia, tristezza, paura  dalle nostre esistenze non è possibile; se non accettiamo e non nominiamo questi sentimenti, otterremo soltanto che i nostri bambini non impareranno a gestirli adeguatamente.

Un altro è quello di non distinguere l’emozione da un eventuale comportamento scorretto a essa connesso; capita, per esempio, di sentire mamme che dicono al proprio bambino: “Non arrabbiarti così” o “Non essere geloso”, senza rendersi conto che rabbia e gelosia non possono essere eliminate con la forza di volontà, ma è solo possibile imparare a gestirle in modo che non sfocino in azioni scorrette. Occorre distinguere l’emozione, che va accettata, dal comportamento sbagliato, che va corretto e sostituito da una verbalizzazione; si potrebbe dire per esempio al bambino:

“Capisco che sei geloso, è normale”

 “La gelosia fa soffrire e, quando la provi, puoi parlarne con noi”

“Quando sei geloso per qualche motivo, cerca di spiegarlo; per esempio, se una volta ti sembra che io stia dando molta retta a tuo fratello e troppo poca a te, puoi dirlo e protestare, ma senza dare sberle”

Teniamo presente che tutti noi genitori commettiamo errori e che comunque sono i comportamenti che ripetiamo con costanza nel tempo quelli che incidono sulla personalità dei nostri figli.

L’importante è riflettere sui nostri stili educativi ed essere pronti a rivederli criticamente.

Grazie a Sofia per questi preziosi consigli, che metteremo sicuramente in pratica!

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