Sempre più genitori scelgono di essere ad alto contatto o empatici, rinnegando la cosiddetta “cultura del distacco”, che si stava diffondendo negli ultimi tempi.

Sono stati il pediatra californiano William Sears e sua moglie Marta a promuovere l’Attachment Parenting, che consiste nell’essere genitori “con attaccamento”.

Anche se il moltiplicarsi di gruppi e iniziative che sostengono questo stile educativo può far pensare ad una “moda” del momento, in fondo,  è un po’ un ritorno al passato e a un modo istintivo di allevare i figli, ancora molto diffuso in Paesi meno industrializzati e popolazioni indigene, per cui vedere madri che lavorano perfino i campi coi bambini sulla schiena è qualcosa di normale.

In cosa consiste l’Attachment Parenting?

In una relazione quasi simbiotica tra mamma (o un’altra figura di riferimento) e figlio, che stanno fisicamente a contatto anche 15-16 ore al giorno. Questa vicinanza fatta di intensi scambi emozionali e costante ascolto empatico permette di conoscere profondamente il proprio bambino e rispondere in modo pronto e sensibile ai suoi bisogni.
Il contatto è favorito dalle pratiche del “portare addosso” i propri cuccioli – baby-carrying o baby-wearing in marsupi o fasce, che hanno il vantaggio di lasciare le mani libere per poter lavorare, svolgere le faccende domestiche e, magari, anche uscire per una passeggiata.

attachment-parenting-cosleepingStrumenti di maternage ad alto contatto sono anche il rooming-in (che, in ospedale, permette alla mamma di tenere con sé in stanza il bambino), il co-sleeping (che consiste nel dormire nel lettone insieme ai propri figli) e un allattamento a richiesta e prolungato, a cui far seguire uno svezzamento naturale.

Su quali principi si basa?

La ricerca di un contatto fisico e relazionale con chi ci è vicino, è un bisogno innato avvertito da tutti i cuccioli. L’attaccamento è quel legame primario tra il bambino e i suoi genitori, che permette di costruire una propria immagine di sé e di strutturare poi le future relazioni con gli altri.

Un neonato non piange per manipolare gli adulti, ma solo per comunicare disagi o bisogno e richiamare l’attenzione di chi ama.

Quali i benefici?

Il contatto pelle a pelle dà benessere del bambino, favorendo la sua autoregolazione e riducendo i suoi pianti e la sua irritabilità, ma fa bene anche alla madre e stimola la sua sensibilità materna.

Secondo il pediatra spagnolo Carlos González, dando attenzioni al proprio figlio, gli si insegna ad essere indipendente, ma anche sensibile, fiducioso, riflessivo e comunicativo. Il risultato sarà che il bambino piangerà di meno, perché sarà più tranquillo e avrà meno bisogno di chiamare la madre e non perché – come nell’applicazione dell’estinzione graduale del pianto – sa che pur chiamandola, lei non arriverà.

Se le interazioni madre-bambino danno una base sicura al piccolo, questi – crescendo – si sentirà poi libero di allontanarsi e differenziarsi gradualmente, poiché si sentirà sicuro di trovare la mamma ad aspettarlo al suo ritorno.

Il pediatra inglese Donald Winnicott giustificava l’Attachment Parenting, sostenendo che i bisogni iniziali del bambino sono tutti urgenti e necessari, perciò, negarglieli o imporgli orari fissi o schemi e rigidi lo frustra e gli provoca ansia e senso di abbandono.

Quindi, scegliere l’alto contatto non significa iperproteggere i figli o viziarli, ma solo far sentire loro la propria presenza.

Sears afferma che:

“I bisogni che sono stati compresi e appagati da piccoli non chiedono più di essere risolti da adulti”

Ne deriva che essere ascoltato non solo aumenta l’autostima e la serenità del bambino, ma lo prepara anche ad essere un buon adulto e buon genitore.

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Quali le critiche?

C’è chi sostiene che avere la madre sempre a propria disposizione non stimoli lo spirito di iniziativa del bambino, portandolo a diventare passivo e dipendente e impedendogli anche di prendere coscienza della distinzione tra se stesso e il resto del mondo, tra il suo io e il suo non-io.

L’abitudine a vivere una sorta di identità e di annullamento di uno nell’altra potrebbe poi – sia alla madre che al bambino – far vivere in modo traumatico lo svezzamento e l’allontanamento prima o poi inevitabile.

Per le mamme “moderne”, che sono divise tra impegni familiari e professionali, inoltre, l’alto contatto potrebbe essere complicato per motivi pratici ed organizzativi.

La mia opinione? Io concordo pienamente con Sears quando consiglia di usare il bambino “come barometro”, nel senso di modellare su di lui e su se stessi le proprie scelte educative (riguardanti, per esempio, l’allattamento o il sonno), senza osservare alla lettera teorie o consigli altrui.

Penso proprio che il nostro istinto di madri vada recuperato e che l’Attachment Parenting non dovrebbe essere considerato tanto una teoria da applicare rigidamente, ma qualcosa da cui trarre liberi spunti.

Se l’alto contatto non viene praticato spontaneamente e in modo sereno, ritengo che perda valore e ne risenta anche in termini di benefici.

Per approfondire:

Sears William, Sears Martha, The Attachment Parenting Book, Little Brown & Co, 2001
González Carlos, Bésame Mucho, Coleman Editore, 2006

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Pubblicato Novembre 2014 / Aggiornato Febbraio 2019

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Laureata in Economia per inerzia e poi in Scienze della Formazione per passione, ora sono felicemente educatrice e mediatrice familiare (e ancora manager, ma solo per se stessa!). Adoro giocare con mia figlia, ma non mi sentirei completa senza il mio lavoro così, da brava – per modo di dire! - MammAcrobata, provo a conciliare tutto, a costo di star sveglia fino a tarda notte. Da anni, collaboro con diverse Associazioni che difendono i diritti dei minori e sostengono famiglie che vivono situazioni di disagio o sofferenza. Sono socia di un'Associazione, in cui mi occupo di formazione ed essendo appassionata di comunicazione e scrittura, sono anche scrittrice, blogger e web writer.