Avevamo un sacco di aspettative sul “corso di inglese”. Era una vita che diceva che voleva andare a “scuola di inglese”…e noi ligi ai dettami dell’”apprendimento precoce” pensavamo (e pensiamo tutt’ora) che fosse una bella idea, motivo per cui abbiamo accolto molto positivamente l’invito di Openminds alla lezione prova.
L’ha accompagnato la sua adorata super Nonna.
Nella saletta c’erano tre bambini (ahimè decimati dalle prime influenze stagionali che Milano durano circa 9 mesi) e tre insegnanti (tutte giovani e pare anche molto carine). Questo perché viene data molta importanza alla creazione di un rapporto personale e affettuoso con la “maestra”, dell’approccio naturale cosiddetto “umanistico-affettivo”.
Le ragazze accoglievano i bambini con ampi sorrisi, matite colorate, fogli, giocattoli pronte a far scoprire loro il fantastico mondo dei “colori”. In inglese ovviamente.
Il metodo che utilizzano è essenzialmente comunicativo: si lavora di più sul parlato che non sullo scritto, più sulla abilità di comprendere che non sulla grammatica intesa in modo classico. Questo perché i corsi si rivolgono anche a bambini di 3 anni.
La didattica, salvo diverse richieste, è molto orientata al “fare qualcosa in inglese”, più che allo spiegare le regole della lingua inglese: si spazia dai piccoli lavoretti manuali ai giochi di ruolo con carte apposite, dal canto al disegno. L’importante è creare un’attività coinvolgente.
Tuttavia, “personalizzazione vuole dire anche qualche cosa di più serio” ci dice Claudia Adamo, titolare di Openminds Languages. “Un esempio: il lavoro che facciamo con i bambini dislessici o con disturbi dell’attenzione o apprendimento. Stiamo raggiungendo dei risultati importanti non solo per quanto riguarda l’apprendimento della lingua ma soprattutto nell’aiutarli ad aumentare il loro livello di sicurezza e autostima. Per fare questo naturalmente collaboriamo con figure specifiche per la consulenza su questi corsi”.
Ma torniamo a Lui che si è puntualmente chiuso come un riccio, anzi come una cozza attaccata alla gamba della suddetta nonna.
Lei, pure un po’ imbarazzata, ha cercato di convincerlo che era una attività divertentissima. Cosa che del resto pensavano anche gli altri bambini presenti che subito si sono appassionati, merito anche alle ragazze davvero molto carine.
Grazie al cielo dopo un po’ anche Ana – la nostra fortunata maestra – è riuscita a scioglierlo e a farlo colorare. È persino riuscita a farsi salutare in inglese quando la lezione è finita.
Comunque sia, il mio bambino timido – e anche un po’ paraculo – ha imparato perfettamente che il rosso è red, che il verde è green, che il blu è blue, che l’arancio è orange e molto altro!
Siamo sempre convinti che questa sia un’attività da spingere e molto molto valida. Temo però che per noi, per ora, rimanga una “lezione di prova” perchè lui ha detto che non ci tornerà dato che non ha tempo :-); unico piccolissimo problema: “quelle ragazze non sapevano parlare italiano!!”
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