Il decreto legge n. 92/2014 entrato in vigore lo scorso 28 giugno ha apportato rilevanti modifiche alla legge sull’ordinamento penitenziario (legge 26 luglio 1975 n. 354), e’ stato inserito, infatti, un nuovo articolo che stabilisce:

1) il divieto di custodia cautelare in carcere laddove il giudice ritenga che, all’esito del giudizio, la pena da eseguire non sarà superiore a 3 anni;
2) il risarcimento ai detenuti che abbiano scontato la detenzione o parte di questa in condizioni inumane.

Questa modifica comporta la messa in libertà di persone socialmente pericolose, condannate per reati che interessano la criminalità di strada, stalking, maltrattamenti in famiglia, lesioni, furti e rapine, truffa, ricettazione, detenzione di stupefacenti.

Come non è possibile il carcere preventivo, non sono previsti gli arresti domiciliari, se il detenuto non ha un luogo ove soggiornare.
La norma, per di più, è stata estesa ai plurirecidivi ed a tutti quelli a rischio di reiterazione del reato senza alcuna valutazione del tribunale di sorveglianza.
Insomma, può essere applicata anche alle situazioni con maggior pericolosità.

E dal 28 giugno alcune carceri hanno rimesso in libertà decine di detenuti.
Questo decreto, pensato per ridurre il sovraffollamento delle carceri italiane (e per evitare le pesanti sanzioni minacciate all’Italia dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo) pone non pochi interrogativi.

Preoccupante è il numero di persone, alcune senza un luogo dove poter essere poste agli arresti domiciliari, che rimesse in libertà, soprattutto nelle ipotesi di stalking e violenza domestica, ben possono continuare nel loro intento violento e persecutorio.

Le cronache di questi giorni hanno fatto emergere la pericolosità di questo decreto.

Un marito accusato di violenza fisica e psicologica contro moglie e figlia, è stato rimesso in libertà, perché la condanna stabilita è di due anni e otto mesi, pur essendo senza dimora ed in attesa, quindi, di trovare una comunità che lo accolga. Cosa gli impedirà di tornare a minacciare e usare violenza nei confronti della moglie e della figlia? Si è determinata così una battuta di arresto nella tutela delle vittime di violenza.
Per intenderci, il giudice non ha più l’obbligo di stabilire, preventivamente, il carcere per un accostato di violenza domestica, stalking ecc. se ritiene che al termine del processo la pena da scontare sia “inferiore a tre anni”, e ciò è particolarmente grave in quelle ipotesi in cui si è di fronte a situazioni in cui vi è una alta probabilità di reiterazione del fatto doloso.

L’intervento del Governo

Fortunatamente il due luglio u.s., il Governo è intervenuto a correggere questo decreto, è corso ai ripari stabilendo che il magistrato potrà disporre la custodia cautelare in carcere nei seguenti casi:

– se  il reato commesso è particolarmente grave: stalking aggravato, maltrattamenti in famiglia, furto in abitazione ecc.;
– se l’imputato non ha una dimora nella quale è possibile disporre gli arresti domiciliari.
Ha inserito, inoltre, l’aumento dell’età dell’imputato da 21 a 25 anni ai fini della detenzione negli Istituti penali per i Minorenni.  Il magistrato di sorveglianza potrà decidere in base alle esigenze di sicurezza e rieducazione se l’imputato (di età tra i 21 e i 25) debba essere detenuto presso un carcere o presso l’istituto penale per minori.

Attendiamo la conferma di tali modifiche e la loro corretta applicazione, e soprattutto speriamo che, nel frattempo, le vittime di violenza, certe di aver cominciato un percorso di rinascita, non debbano ritrovarsi in un nuovo incubo.

photo credit: Maëlle Caborderie via photopin cc

Author

Mamma&avvocato civilista, laureata alla Federico II di Napoli, esperta di diritto di famiglia e dei minori...innamorata della vita, di mia figlia e del mio lavoro...sempre di corsa tra Tribunali-uffici-studio-casa seguendo istinto, desideri ed i valori in cui credo...su tacco 12 of course...

1 Comment