AUTOLESIONISMO E ADOLESCENZA – Nella pratica clinica di psicologi e psichiatri capita sempre più spesso di incontrare pazienti che raccontano di ferirsi volontariamente (generalmente tagliandosi con lamette o altri oggetti appuntiti, o provocandosi ustioni) sulle braccia o in altre zone del corpo. Quello che a prima vista può sembrare un gesto di follia, ha invece, in tutta la sua drammaticità, una funzione ed una logica ben precisi.

È innanzitutto fondamentale chiarire che queste condotte autolesive non vanno scambiate per comportamenti suicidari: chi si ferisce non lo fa per morire ma al contrario per sopravvivere ad un dolore, ad un senso di vuoto o di alienazione altrimenti intollerabili.

Il taglio (o l’ustione, o qualunque altra condotta di autolesione) permette allora per un momento alla persona di concentrarsi sul dolore fisico per non sentire il dolore emotivo, ma anche di comunicare attraverso il corpo quello che le parole non riescono a descrivere.

Queste condotte autolesive hanno la massima diffusione tra gli adolescenti, possono comparire già tra i 12 ed i 13 anni e sono decisamente più frequenti tra le ragazze che non tra i ragazzi (con un rapporto di 9 a 1). Non esistono statistiche certe sulla diffusione di queste pratiche, ma il SIBRIC (Self Harm & Self Injury, il portale dedicato allo studio e all’informazione sull’autolesionismo) riporta dati che parlano di comportamenti autolesionistici nel 42% degli adolescenti tra i 13 ed i 22 anni.

Nella storia di questi ragazzi (che solo nella minoranza dei casi riescono a chiedere aiuto, anche il profondo senso di vergogna per non riuscire a controllare questi comportamenti) si riscontrano spesso infanzie molto dolorose, connotate da privazioni affettive, abusi emotivi, fisici o sessuali e gravi lutti. Da qui possono originare disturbi di vario tipo, dai disturbi dissociativi, al disturbo da stress post traumatico, al disturbo di personalità borderline, ai disordini del comportamento alimentare.

Anche in quei ragazzi che non riportano infanzie così traumatiche si riscontra comunque una fondamentale incapacità di gestire in maniera sana e adattiva le emozioni e le esperienze di separazione, di abbandono o di rifiuto, ma anche i cambiamenti del corpo che l’adolescenza porta inevitabilmente con sé.

Perché ci si ferisce

Le condotte autolesive assumono funzioni diverse:

  • Per coloro che vivono un senso di profondo vuoto interiore, soprattutto negli stati dissociativi dovuti a gravi traumi e abusi, ferirsi diventa un’esperienza che li riconnette con la vita: la vista del sangue e la sensazione dolorifica del corpo li riporta alla realtà dopo che la loro mente, ferita e traumatizzata, si è dissociata dall’esperienza del qui ed ora.
  • Per coloro che che si sentono lasciati soli, abbandonati a se stessi senza un luogo affettivo dove andare a cercare conforto nei momenti di tristezza, rabbia o solitudine, ferirsi diventa la miglior strategia che hanno trovato per scaricare la tensione intollerabile provocata da queste emozioni, ma anche per illudersi di poterle controllare anziché esserne travolti. Subito dopo la ferita, la sensazione che arriva è di sollievo, di pace, di liberazione.  Dopo poco però, arrivano il rimorso e la vergogna.

Il sollievo momentaneo dal dolore emotivo o dal senso di vuoto e di annichilimento che il ferirsi provoca fa sì che la persona tenda a ferirsi nuovamente in futuro, in un meccanismo simile a quello della dipendenza da sostanze stupefacenti. Smettere di ferirsi allora richiede non solo un atto di volontà ma anche un aiuto professionale ben strutturato, che permetta ai ragazzi in sofferenza di tradurre in parole l’indicibile dolore che li attraversa e imparare a tollerare la rabbia, la frustrazione, la solitudine senza agire contro se stessi.

Quali sono i segnali?

Alcuni segnali che possono far insospettire:

  • Maniche lunghe anche fuori stagione, vestiti eccessivamente coprenti anche d’estate
  • Frequenti macchie di sangue sui vestiti
  • Isolamento (come ad esempio passare lunghi periodi chiusi in bagno)
  • Possesso di oggetti appuntiti come lamette, pezzetti di vetro o di ceramica, coltellini
  • Irritabilità e scarso controllo di forti emozioni

Cosa fare?

Per aiutare un adolescente che si ferisce, è fondamentale non colpevolizzarlo né mortificarlo ma fargli sentire tutto il nostro sostegno e la nostra comprensione e invitarlo a intraprendere un percorso di sostegno psicologico presso un professionista competente.

Sul sito del SIBRIC (www.sibric.it) è possibile trovare altre informazioni e l’elenco delle strutture pubbliche sul territorio a cui rivolgersi.

 

>> Leggi anche: Di ragazzine, autolesionismo e storie della buonanotte

 

Per approfondire:

Strong M., Un urlo rosso sangue, Frassinelli.

Oliverio Ferraris A., Ferirsi per sentirsi meglio, Psicologia Contemporanea, marzo-aprile 2011, n.224.

Gratz K., Chapman A., Walsh B., Freedom from Selfharm.

Cerutti R., Manca M. I comportamenti aggressivi. Percorsi evolutivi e rischio psicopatologico. Nuova edizione. Kappa, Roma
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Psicologa e psicoterapeuta rogersiana, da diversi anni ho iniziato a lavorare con i neogenitori sia diventando insegnante di massaggio infantile, sia conducendo gruppi per genitori sull’educazione emotiva e su vari argomenti legati all’educazione e all’accudimento dei bambini, dalla nascita all’adolescenza. Sono profondamente convinta che sostenere i genitori nelle scelte educative, informare, spiegare, ma soprattutto ascoltare e accogliere dubbi, domande, fragilità, sia la strada più importante per promuovere il benessere dei nostri bambini e prevenire il crescente disagio infantile e adolescenziale. Nel mio lavoro porto la mia professionalità, ma anche la mia esperienza con i miei tre figli, gli errori fatti, i dubbi vissuti, le battaglie vinte. Perché non si può pensare di aiutare i genitori se ci si erge su un trono, ma solo se si condividono esperienze, fatiche, paure e soddisfazioni. Sito web: www.sentieridicrescita.com Facebook: https://www.facebook.com/pages/Sentieri-di-Crescita/ 653600438012603