“Molte matrigne sono madri migliori delle madri di fatto”. Era il 2012 e l’opinionista inglese, Alice Marshall, concludeva così il suo articolo-testimonianza sul Mail Online in risposta a un altro articolo, scritto su Femail da Kelly Rose Bradford, in cui l’autrice spiegava che non avrebbe mai lasciato frequentare a suo figlio la nuova fidanzata del padre.
Due posizioni agli antipodi, direi estremiste, ma utili per riaprire un interessante dibattito. Quello sul ruolo delle matrigne, in una società – quella italiana compresa – in cui le famiglie ricostituite sono sempre più diffuse. È vero, come dice Alice, che le matrigne possono dare più amore di una vera mamma? Oppure solo la madre naturale conosce i bisogni dei figli e può crescerli al meglio?
La questione, a mio modo di vedere, è posta male. Arrogarsi il diritto di essere migliore della madre biologica, solo perché il figlio decide di andare a vivere con il padre e la nuova compagna (è il caso raccontato da Alice Marshall), non mi sembra giusto in generale.
Entrare dentro le famiglie e capirne le dinamiche è praticamente impossibile da fuori.
Io penso che come nelle famiglie “normali”, anche in quelle ricostituite, ci siano situazioni che funzionano e altre che funzionano meno.
Scrivevo in un vecchio post: dipende tutto dall’amore e dall’intelligenza. Continuo a crederlo. Non penso proprio che ingaggiare un duello tra i due tipi di madre, quella naturale e quella acquisita, sia il modo per trovare un buon equilibrio.
Però, va detto, molto spesso succede. Le matrigne, forse aiutate dal fatto di non essere vere e proprie madri ma delle quasi mamme, un po’ più amiche e complici che non una madre vera, riescono (a volte) a ritagliarsi una posizione come figura di riferimento dei ragazzi “allargati”.
Capita che a certe madri biologiche questa invasione di campo non piaccia per niente. E si sentano minacciate, nella loro identità di madri, finendo per rivendicare l’autenticità solo della madre biologica.
Io credo, ma è una mia opinione, che al fondo ci siano solo gelosie e insicurezze. Sentimenti su cui l’adulto, sia esso la matrigna, la madre o il padre, hanno il dovere di guardarsi dentro e interrogarsi.
In America, ho scoperto di recente, esistono importanti di realtà di ascolto per le famiglie allargate. Centri specializzati nell’assistenza alle famiglie ricostituite, con consulenti e psicologi che aiutano le persone a impostare un buon regime di vita.
Non posso dire se funzionino oppure no. Io non credo molto nei libri e negli esperti che promettono soluzioni di vita in dieci regole, ma sono sicura di un fatto: nelle famiglie allargate non si può fare finta di niente. Non si possono mettere i problemi sotto il tappeto. La prima regola (l’ho visto per mia esperienza, ed ho scoperto che è la prima regola anche dei manuali per la famiglia allargata “perfetta” all’americana) è parlare. Devono parlarsi il padre e la nuova compagna o moglie, e dovrebbero continuare a comunicare in modo costruttivo anche gli ex. Non dico sia facile, ma ce la si può fare.
Poi c’è tanto altro. Le regole, per esempio. Se devo crescere un figlio mio, nato dalla relazione con il mio nuovo compagno che ha già figli da un precedente matrimonio, come posso conciliare i diversi stili di vita? Altra domanda: parliamo sempre di matrigne, poco di patrigni. Perché? Forse nelle famiglie ricostituite con madre con un suo bambino (e padre che “adotta” questo figlio) ci sono meno problemi?
Il mondo delle famiglie allargate è vasto e tortuoso. Esistono esperienze felici e altre molto tristi. Proprio come in tutte le famiglie, direte voi… Vero, ma queste nuove famiglie hanno una responsabilità maggiore. Dimostrare che l’ampia libertà concessa dal mondo moderno, libertà che consente a chi lo ritiene anche di separarsi e divorziare e di “rifarsi una vita”, porti infine a uno stile di vita migliore di quando si era obbligati a restare tutta la vita legati, in certi casi tra sotterfugi e tradimenti.
La libertà va onorata con comportamenti responsabili. Soprattutto perché in mezzo ci sono i bambini.
2 Comments
Già la domanda mi sembra posta male. Come si può essere migliori o peggiori di altri? Semplicemente si è diversi. E si è diversi per molti motivi: perchè ognuno ha un suo carattere, una sua storia, una sua educazione. Perchè soprattutto “diversa” è la situazione da affrontare. Da una parte una mamma, magari rimasta sola con il figlio/a, magari con una buona dose di rancore addosso. Dall’altra un’altra mamma decisamente più felice, con figli suoi e un padre presente, che temporaneamente riceve la “sorellona/fratellone” e cerca di farle vivere giornate serene. Chi è “meglio”? Come possiamo definire il meglio? Cerchiamo, come giustamente dici tu Michela, di collaborare (cosa estremamente difficile) non per essere migliore ma per essere ugualmente impegnate verso un comune scopo.
cara nonna maria, la domanda è posta male. forse. però consideriamo che migliore è posto tra virgolette, proprio a ridimensionare il giudizio. Inoltre, basta leggere l’articolo, per capire il senso della discussione. Inoltre non vedo perché la madre, sola, debba essere “giustificata” in quanto “con una buona dose di rancore addosso”, mentre la mamma matrigna debba essere decisamente “più felice”. Questo sì mi pare un giudizio, e un pregiudizio. Non certo porre una domanda come quella che pone l’articolo, che vuole semplicemente descrivere che l’essere una buona madre non è solo una questione biologica. Poi ognuno i propri rancori dovrebbe raffreddarli per il bene dei figli, propri e degli altri. Spesso le donne separate, pur rifacendosi anche una famiglia e trovandosi un nuovo compagno, continuano a seminare rancore. come se fosse legittimo. come dimostra questo commento, perché in fondo le mamme separate sono percepite, quasi sempre, come vittime. Io con il mio blog ho cercato proprio di aprire a questa realtà, che è diversa e variegata. Ma se siamo ancora al punto della madre, abbandonata dal marito e della matrigna come donna che sottrae la felicità all’ex moglie, allora siamo davvero molto indietro. o quanto meno siamo destinati ad essere ancora più infelici, vista la quantità sempre crescente di famiglie ricostituite, allargate o separate.