IL POTERE TERAPEUTICO DELLE FIABE – Se un bambino ha la tosse o l’influenza, il pediatra gli prescrive uno sciroppo o una pillola e, solitamente, tutto passa presto.

Quando la sofferenza, invece, non riguarda il suo corpo, ma il suo animo, trovare un rimedio è più complicato.

Vale la pena, allora, provare a somministrargli una medicina che non ha controindicazioni: una fiaba.

In momenti particolarmente difficili, gli adulti, talvolta, faticano a trovare le parole giuste per confortare i più piccoli, ma una storia raccontata stretti stretti in un abbraccio può servire più di mille discorsi.

Come spiegare, per esempio, perché una persona cara è morta, se neppure da grandi, spesso, riusciamo a farcene una ragione?

Parlare attraverso metafore può avvicinare al magico mondo dei bambini, che non sempre hanno la capacità di comprendere davvero ciò che accade attorno a loro.

Ecco che, quindi, potrebbe rassicurare la fiaba di un bruco che diventa una splendida farfalla, dimostrando che in natura la vita non finisce mai, ma si trasforma.

Le fiabe possono aiutare a trattare, semplificandoli senza banalizzarli, temi delicati come la malattia, la violenza, la nascita di un fratellino, il bullismo, la diversità, i cambiamenti della vita, la paura dell’abbandono, le catastrofi naturali.

Un racconto può anche aiutare ad accettarsi per come si è, vincendo i propri complessi e convincendosi d’essere unici e speciali, anche se ci sente “diversi” , come il brutto anatroccolo della famosa favola.

Non tutti sono d’accordo a introdurre nelle favole temi come la morte, il dolore o la violenza, ma le fiabe sono una metafora della vita e come negare che nella vita ci sono anche momenti bui? Adeguandosi alla maturità e alla sensibilità del bambino, bisogna fargli comprendere che il Male esiste e va riconosciuto, ma evitando di spaventarlo.

Il bambino ha il diritto di guardare al futuro con fiducia e ottimismo, perciò, è giusto dargli sempre la possibilità di sperare in un lieto fine, con la consapevolezza che perfino le prove più dure della vita si possono superare.

Le fiabe possono aiutare anche ad affrontare la separazione dei genitori.

In questo caso, bisogna dare un messaggio positivo, ma senza alimentare false speranze. Andrà, ad esempio, sottolineato che ad essere eterno è l’amore per i propri figli e che ogni cambiamento regala nuove opportunità e sorprese.

Sono state scritte fiabe sull’omosessualità, i cui protagonisti sono bambini che hanno due mamme o due papà, ma anche fiabe che rappresentano famiglie allargate, casi di pedofilia o l’inseminazione eterologa.

Anche le classiche fiabe, però, offrono sempre interessanti spunti di riflessione.

Nel lupo di Cappuccetto Rosso o nel Lucignolo di Pinocchio, per esempio, è facile riconoscere la personificazione del Male, che attrae e tenta anche i più buoni. Riuscire a non farsi influenzare dagli altri e, soprattutto, dalle cattive compagnie è un tema da affrontare anche con i più grandicelli, che devono imparare a distinguere i veri amici dai tanti gatti e volpi che ci sono in giro.

La vita non è fatta di solo divertimento e bisogna assumersi le proprie responsabilità.

Questo lo dimostra anche la favola de “La cicala e la formica” che sottolinea l’importanza del lavoro, del sacrificio, dell’impegno e dell’essere previdenti.

Per ogni occasione, esiste una fiaba adatta, altrimenti la si può inventare ad hoc, partendo da immagini della vita reale. Ci si può far aiutare dal bambino stesso, chiedendogli, per esempio, come si comporterebbe in una determinata situazione o come considera un determinato personaggio.

In tal modo, si può incoraggiarlo a tirare fuori emozioni, paure o dubbi.

Il tema desiderato, però, non andrebbe trattato troppo esplicitamente, ma attraverso metafore, per cercare di raggiungere l’inconscio del bambino e stanare i suoi fantasmi più nascosti.

Quanto aiuta, allora, una fiaba? Tanto.

Già solo il fatto si sedersi tranquilli accanto ad un bambino, dedicargli tempo e condividere la magia di un racconto crea un legame speciale, rappresentando un ricordo indelebile. Questi momenti di intimità predispongono anche favorevolmente all’apertura del proprio cuore.

Non solo l’adulto può approfittarne per comunicare qualcosa al bambino, ma anche il bambino può confidare all’adulto qualcosa che, magari, non ha il coraggio di ammettere né agli altri, né tantomeno a se stesso. Attribuire una determinata situazione o determinati sentimenti ad un personaggio di fantasia aiuta a lasciarsi andare.

La fiaba, allora, diventa un modo per sfogarsi, sentirsi meno soli e la metafora rappresenta uno schermo che protegge anche dalla paura dei giudizi altrui. Osservare dall’esterno situazioni e sentimenti che si sentono propri, inoltre, può aiutare a ridimensionarli, offrendo un’altra prospettiva di valutazione.

M. (6 anni), avendo subito gravi violenze in famiglia, ne fu allontanato. Raccontava sempre una favola, il cui protagonista era un bambino che, cacciato di casa dai genitori perché era “cattivo”, viveva in un bosco popolato da mostri. Era così che lui si considerava: cattivo e colpevole. Non poteva ammettere che la responsabilità fosse dei genitori, perché li amava incondizionatamente.

Su M. fu fatto un lungo e faticoso lavoro, ma i risultati arrivarono e, finalmente, un giorno ci raccontò un’altra storia. Questa volta, il protagonista era un cagnolino, che vagava alla ricerca di una nuova famiglia, perché i suoi veri genitori “erano cattivi” e lui cercava un posto sicuro, dove rifugiarsi. Divenne amico di un gufo, che lo aiutò, dopo mille avventure, a trovare una nuova famiglia, che lo faceva sentire amato e protetto.

In questo caso, il ruolo del racconto non era stato innescare un processo di guarigione, ma simboleggiare un percorso compiuto felicemente.

Mattia (7 anni), dopo che in casa sua erano entrati i ladri, cominciò a chiedere alla madre di raccontargli sempre la fiaba de “I 3 porcellini” perché lo rasserenava. Identificando i propri genitori con il terzo porcellino (quello più saggio e astuto), infatti, lo tranquillizzava il fatto che, avendo ormai protetto adeguatamente la casa, i ladri non avrebbero più potuto far loro del male.

I bambini trovano rassicurante sentire più volte la stessa fiaba e poterne prevedere il finale, perciò, guai a cambiarne qualche particolare!

È bello raccontare una storia, anche solo per liberare l’immaginazione, ma è utile conoscere quali opportunità comunicative offre, al di là del puro valore ricreativo.

Inoltre, bisogna capire se c’è un motivo particolare per cui un bambino richiede una storia piuttosto che un’altra.

Magari, si identifica in un determinato personaggio e si tranquillizza ascoltando che “alla fine vissero tutti felici e contenti”.

Rabbia, dolore, paura, vergogna, gelosia, senso di frustrazione, rimorso, ansia sono sentimenti difficili da gestire e, talvolta, anche da identificare. Vederli prendere vita e forma (magari anche buffa e grottesca nelle fiabe popolate da animali parlanti) può aiutare.

Per aiutare i più piccoli a verbalizzare le proprie emozioni, si può chiedere loro di riassumere con un disegno la fiaba appena ascoltata. Sarà interessante osservare quali particolari il bambino evidenzierà e come li rappresenterà.

Le fiabe possono aiutare a trattare anche temi più “leggeri, ma altrettanto problematici, come l’abbandono del ciuccio o del pannolino, la paura del buio, l’importanza di una sana e varia alimentazione.

Il dialogo è alla base di un buon rapporto genitori/figli e leggere insieme una storia regala un’ottima occasione anche per confrontarsi.

Consigliamo di visitare: FABULARIA; L’ATTACCASTORIE DI SCELTA MACULATA

Valentinotti Carmen, Fiabe toccasana, Edizioni Red, 2008
Sunderland Margot, Raccontare storie aiuta i bambini. Facilitare la crescita psicologica con le favole e l’invenzione, Edizioni Erickson, 2004
Burns George W., Centouno storie che guariscono. L’uso di narrazioni in psicoterapia, Edizioni Erickson, 2006
Bettelheim Bruno, Il mondo incantato. Uso, importanza e significati psicoanalitici delle fiabe, Feltrinelli Editore, 2003

photo credit:  iStock.com/evgenyatamanenko

 

 

Author

Laureata in Economia per inerzia e poi in Scienze della Formazione per passione, ora sono felicemente educatrice e mediatrice familiare (e ancora manager, ma solo per se stessa!). Adoro giocare con mia figlia, ma non mi sentirei completa senza il mio lavoro così, da brava – per modo di dire! - MammAcrobata, provo a conciliare tutto, a costo di star sveglia fino a tarda notte. Da anni, collaboro con diverse Associazioni che difendono i diritti dei minori e sostengono famiglie che vivono situazioni di disagio o sofferenza. Sono socia di un'Associazione, in cui mi occupo di formazione ed essendo appassionata di comunicazione e scrittura, sono anche scrittrice, blogger e web writer.

6 Comments

  1. ManuAcrobata

    Anche io fino a qualche tempo fa leggevo le fiabe a mia figlia (ora 5 anni) cambiando i pezzi più tristi o spaventosi.. poi però pian pianino ho iniziato a raccontarglieli ma con parole “più comprensibili” (a mio giudizio…) fino ad arrivare a raccontare la storia così com’era veramente. Credo che a volte siamo noi a farci molti più problemi di quelli che dovremmo 😉

    • ManuAcrobata

      Lo hai già scritto vedo 🙂 grazie per la segnalazione! Ci vuoi raccontare qualcosa di questa storia?

  2. MammeAcrobate

    vedo che Mariapaola si è già attivata!

  3. Io ho due bimbe piccole, ma mi rendo conto che leggo per loro fiabe o favolette solo a lieto fine e con personaggi positivi, anche se ci sono i negativi, non viene sottolineato questo loro aspetto più di tanto… Credo che per il momento siano davvero troppo piccole ancora (2 anni e 9 mesi) per comprendere pienamente il significato, però ultimamente la mia bimba grande quando vede piangere nei cartoni animati oppure sulle immagini dei libri mi chiede piagnucolando perchè… penso che ciò che hai scritto sia giustissimo, è vero, attraverso le fiabe possiamo far recepire ai nostri figli messaggi che nella realtà sarebbero duri da spiegare e affrontare… Bellissimo post!
    Kelia
    http://workingmommy.myblog.it/