E’ ormai universalmente riconosciuto dagli psicologi che si occupano di infanzia (tra questi Daniel N. Stern) che i nostri bimbi nascono già dotati di competenze sociali che consentono loro di instaurare relazioni molto precoci con chi si prende cura di loro.
Questa evidenza “scientifica” probabilmente non sorprenderà nessuna mamma, visto che tutte, istintivamente, iniziano a parlare, sorridere, cantare e rivolgersi alle proprie creature con espressioni facciali marcate fin da subito! E anche i neonati a modo loro “conversano” con l’adulto, rispondendo con sguardi, vocalizzi, smorfie… Finchè un giorno, solitamente nel terzo mese di vita, arriva la “risposta” che più di ogni altra riempie di gioia una mamma (e un papà, una nonna, una zia…!): un magnifico sorriso illumina il viso del bimbo suscitandone uno ancora più smagliante in chi lo accoglie! Un sorriso che non è più il riflesso automatico di uno stato di benessere, ma è un sorriso sociale, interattivo, rivolto a chi sorride al piccolo. E’ una tappa importante che evidenzia la capacità del bambino di riconoscere l’altra persona come separata e di collegare affetto, pensiero e intenzionalità. Secondo lo psichiatra infantile e psicoanalista Spitz, è proprio il sorriso il primo organizzatore della psiche dell’individuo.
Il secondo organizzatore è invece una tappa che a volte un pò preoccupa i genitori e un pò li rassicura sul legame col proprio figlio: la cosiddetta “angoscia dell’ottavo mese”. Più o meno a partire dai 7-9 mesi di età il bambino manifesta ansia o timore verso chi non conosce (c’è chi è blandamente diffidente e chi scoppia in lacrime davanti agli approcci amichevoli di una persona mai vista), mentre si dimostra gioioso e sereno alla comparsa delle persone che abitualmente si occupano di lui. E’ una fase un pò “scomoda” perché spesso diventa meno facile affidare il proprio piccolo ad altre persone (o anche solo darlo in braccio per un momento) e le separazioni diventano spesso più dolorose. Ma, di contro, i momenti in cui ci si ritrova si trasformano in una vera e propria festa! Per un genitore può essere positivo e consolatorio pensare che quest’angoscia segna un passaggio importante nella crescita del bambino: non solo c’è un riconoscimento dell’altra persona come separata ma anche un riconoscimento delle diverse persone e del loro rapporto con lui.
Il terzo organizzatore coincide con un momento decisamente “antipatico” anche se è forse ancor più interessante comprenderne invece il valore evolutivo: si tratta della fase del NO. Nel secondo anno di vita il bambino impara a rispondere “no” (sia con la voce che scuotendo la testa) e inizia a ripeterlo sempre più frequentemente e con una convinzione a volte esasperante. Sui capricci e le proteste che fanno disperare le famiglie dei bambini in età prescolare avremo modo di discuterne nelle prossime settimane, ora iniziamo con il considerare come il “no” sia invece segno di una conquista meravigliosa: è una parola astratta, di significato puramente simbolico (non è una “mamma” o una “pappa” o una “palla” che si possono toccare!) che oltretutto consente al piccolo di affermarsi e di opporsi alle persone che tanto ama e lo amano pur avendogli a loro volta detto tanti “no” (quando tenta magari di toccare le prese della corrente o cerca di arrampicarsi in luoghi pericolosi, per esempio).
I bambini crescono e i genitori crescono con loro: cercare di comprendere la straordinarietà dei loro progressi aiuta ad amarli ancor di più entrando in sintonia con loro e forse diventando un pò più pazienti di fronte alle reazioni emotive (pianti, urla e secchi NO) che in un primo momento, a volte, possono sembrare immotivate.
2 Comments
essere spettatatori di questi piccolo progressi è davvero emozionante! a volte snervante… ma soprattutto emozionante!
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