Le polemiche e i dubbi sulla sicurezza, o meno, del parto in casa sono sempre attuali e numerosi sono i pareri e le posizioni discordanti. Di certo c’è che sono oltre 1500 le donne che ogni anno in Italia scelgono il parto in casa e che alcune regioni italiane come Marche, Emilia Romagna, Piemonte sostengono questa scelta offrendo un rimborso alle donne che decidono di far nascere in casa il proprio figlio.
Anche la regione Lazio, proprio in questi giorni, ha deciso di sostenere le donne che partoriranno in casa con un bonus di 800 euro. Notizia che ha scatenato immediatamente una precisa presa di posizione della Società Italiana di Neonatologia che ha diffuso il seguente comunicato stampa:
Il presidente della SIN Società Italiana di Neonatologia, Costantino Romagnoli, interviene in seguito al decreto della Regione Lazio.
La demedicalizzazione dell’evento parto è uno degli obiettivi che la Società Italiana di Neonatologia (SIN) ha fatto proprio fin dalla sua costituzione. Altrettanto importante è garantire la sicurezza del neonato al momento del parto e nei giorni di degenza nella struttura che lo ha visto nascere. Di qui l’annoso problema, ancora non risolto, della chiusura dei centri nascita con piccoli volumi di attività (<500 o meglio < 1000 nati per anno).
Non ci sorprende il decreto della Regione Lazio che è basato su un assunto non dimostrabile. “La possibilità di partorire tra le mura della propria casa, possibile però solo nel caso sia accertato dal ginecologo che si tratta di un parto naturale senza complicanze” .
Perché indimostrabile? Perché, nonostante le alte competenze che ostetriche e ginecologi possano fornire, le complicanze del parto e del post-partum non sono prevedibili in modo assoluto: ne è la prova la mole di contenziosi medico-legali che i colleghi ostetrici si trovano a dover fronteggiare. E vi assicuro che non si tratta quasi mai di malasanità!
D’altra parte l’esperienza statunitense di molti anni fa aveva dimostrato che il rischio non è prevedibile, tanto è vero che, come ha sottolineato bene la SIGO, i paesi che provano ancora il parto a domicilio hanno un tipo di organizzazione che è ben lungi dall’essere realizzabile nel nostro paese.
Di qui la perplessità della SIN verso questa decisione che potrebbe portare alla possibilità di ripercussioni sulla mortalità neonatale e ad un ulteriore incremento di contenziosi medico-legali.
Penso che l’obiettivo da perseguire sia quello della garanzia della massima sicurezza dell’evento parto sia per la madre che per il neonato, incrementando la collaborazione tra tutti gli operatori del settore, coinvolgendo maggiormente le famiglie nella gestione del post-partum e dell’allattamento, incrementando la dimissione precoce in sicurezza con accurati controlli di follow-up post dimissione.
Forse questo costa di più degli 800 euro stabiliti dal decreto, ma è certamente più utile per i nostri neonati che sono il nostro futuro.
Noi ci asteniamo dal prendere una posizione netta a riguardo perché gli elementi da valutare prima di decidere o meno di far nascere in casa il proprio figlio sono davvero numerosi ma soprattutto soggettivi e oggettivi insieme. Di certo c’è, ed è bene ripeterlo, che deve essere una scelta molto ponderata, è necessario informarsi attentamente scegliendo professioniste capaci e responsabili che accompagnino e supervisionino il parto e che sappiano agire in caso di eventuali complicanze.
Una esperta di parto in casa è la giornalista Elisabetta Malvagna, autrice del libro Partorire in casa, che diverso tempo fa abbiamo intervistato e di cui vi riproponiamo un pezzo di intervista:
Quali sono le condizioni oggettive e necessarie per poter affrontare un parto in casa?
Le condizioni sono basate su criteri oggettivi: la donna deve essere sana, avere una gravidanza fisiologica, non deve esserci diabete, l’emoglobina deve essere pari o superiore a 9,5, il bambino deve essere a termine (tra la 37ma e la 42ma settimana), non essere podalico, il suo peso non deve essere inferiore ai 2,6 chilogrammi e non superiore ai 4,2-4,5 chilogrammi, e bisogna valutare anche il bacino della mamma. La gravidanza deve essere seguita dall’ostetrica almeno dalla seconda metà e infine l’ospedale non deve essere distante più di 30-40 minuti.
Perché in Italia i parti con cesareo sono così diffusi, quasi incentivati, mentre non lo è per niente il parto in casa, anzi è circondato solo da molta diffidenza?
La diffidenza per il parto in casa nasce dall’ignoranza e dalla scarsa informazione. Nel libro cito numerose ricerche internazionali che dimostrano la sicurezza di questa alternativa. Ma esistono anche motivi più complessi: la medicina difensiva, alla quale la classe medica ricorre sempre più spesso per evitare cause legali; il profitto, visto che il parto cesareo ha un rimborso doppio rispetto a quello vaginale da parte delle Regioni. E il controllo del parto: una donna in travaglio, una donna che partorisce, esprime una tale potenza, una tale forza, la capacità unica di svolgere un compito così complesso e, direi, misterioso, da far paura. Fino al XVII secolo erano le donne ad assistere altre donne durante il parto. Poi con l’invenzione del forcipe e l’introduzione della posizione supina, la gestione del parto è passato dalla donna ai medici, per i quali una partoriente sdraiata, passiva, addormentata, è più accessibile di una che si muove, assume le posizioni a lei più congeniali, che grida, che esprime la sua animalità. Il parto è una naturale espressione della sessualità, qualcosa di difficilmente controllabile, che ogni donna vive in modo diverso, secondo il suo vissuto, il suo modo di essere, le sue paure e le sue potenzialità. Trasformarlo in qualcosa di asettico, quasi come un vicolo cieco da percorrere seguendo regole e procedure standardizzate, e subendo interventi esterni (spesso e volentieri senza il proprio consenso), influisce sulla fisiologia del parto e sulla percezione del dolore. Non a caso nei racconti delle donne che partoriscono in casa non si ritrovano parole come ‘paura’, ‘umiliazione’, ‘incapacità’, ‘frustrazione’, ma ‘gioia’, ‘potenza’, ‘libertà’, ‘intimità’, ‘sicurezza’. E’ un vero peccato che sempre più donne abdichino alla loro specificità di genere, a vivere attivamente e con responsabilità un evento che cambierà per sempre le loro vite. E sottolineo: non è solo una questione sociale o psicologica. Il parto naturale, fisiologico, ha moltissimi vantaggi dal punto di vista della salute per la mamma e il bambino. Al contrario, un cesareo non necessario triplica il rischio di mortalità materna, aumenta la possibilità di complicanze respiratorie e minaccia le future risposte immunologiche del bambino.
Perché scegliere quindi il parto in casa?
Sono tantissimi i motivi validi. Come ho già detto, il parto domiciliare riporta la donna, e il suo bambino, al centro dell’evento. Assumendosi questa responsabilità, la mamma stimola le sue risorse innate, avvia un processo di salutogenesi che avrà positive ripercussioni negli anni a venire. Spesso viene scelto da donne con esperienze ospedaliere negative pregresse, o perché vuole evitare un cesareo, un’induzione o un’episotomia inutile, o perché non vuole separarsi dai figli precedenti. Il parto domiciliare ha anche vantaggi dal punto di vista batteriologico: i germi che abitano negli ospedali sono molto più aggressivi dei germi ‘amici’ che vivono in casa. E i bambini nati con questa modalità sono molto più tutelati sotto questo profilo. E poi la famiglia torna ad essere protagonista di questo evento così speciale. Non solo: la partoriente non deve obbedire ad ordini impartiti dal personale ospedaliero che spesso agisce nel rispetto dei ritmi stabiliti dalla struttura, più che nel rispetto del processo fisiologico del parto e dei bisogni della mamma. Insomma, come dico spesso, la donna non deve chiedere il permesso di partorire. E non è cosa da poco!
E ora lasciamo la parola a voi e alle vostre esperienze, che spesso parlano molto di più di decreti e pareri scientifici.
Cosa ne pensate: il parto in casa è sicuro oppure no? Avete partorito o partorireste in casa vostro figlio?
photo credit: seandrealinger via photopin cc
1 Comment
“L’ospedale non deve essere distante più di 30-40 minuti”, mi vengono i brividi. è questa mentalità che “le vostre esperienze spesso parlano molto di più di decreti e pareri scientifici” che ci porterà all’estinzione…