Eccoci qui – di nuovo ospiti sulle “pagine” di Mamme Acrobate – in attesa di correre giù dalla prima riga per incontrare la nostra parola del mese. In quest’occasione, che rappresenta a tutti gli effetti l’esordio del nostro viaggio insieme, abbiamo scelto di esplorare i significati di una parola che assume valore e importanza fin dall’inizio della vita e che sta a cuore all’Associazione Pollicino: il cibo.

Tutto comincia dal cibo. Ma cosa significa?

A partire dalla nascita, il rapporto tra madre e bambino inizia a costruirsi attraverso gli sguardi, le parole e il contatto fisico. In particolare, è con l’allattamento che la mamma garantisce al neonato ciò di cui ha bisogno. Ma in quest’esperienza unica, oltre al latte che riempie la pancia (e che soddisfa la fame), passa qualcos’altro?
L’allattamento non esaurisce il suo significato soltanto nel passaggio di qualcosa di materiale, cioè del cibo di per sé, ma rimanda anche a una trasmissione di messaggi affettivi. Quindi che cosa incontra il figlio tra le braccia della madre prima, e a tavola dopo?

Benché la tipologia e la modalità dell’alimentazione cambino naturalmente nel tempo (dal latte fino ai cibi solidi e dalla dipendenza fino alla conquista dell’autonomia), ciò che non si modifica è la cornice che accompagna il pasto, un caleidoscopio di sensazioni e significati: odore, calore, voce e sguardo dei genitori, tutti elementi che vanno a comporre quella relazione d’amore all’interno della quale il bambino può sentirsi desiderato e riconosciuto come un soggetto, una persona di cui la mamma e il papà si prendono cura anche al di là del nutrimento.

Non solo latte per crescere

Per crescere, il neonato ha infatti bisogno di nutrirsi non solo del latte, ma anche dei messaggi che, circolando all’interno della famiglia, legano il nuovo arrivato in primo luogo alla madre e, in un secondo momento, al padre. Tra cibo, affetto e messaggi nasce una stretta relazione che fa sì che il primo termine venga utilizzato come una forma di comunicazione, una modalità per cominciare a costruire una relazione con la realtà esterna. Il cibo, nelle sue diverse forme, consente al bambino di esplorare e sperimentare, e di raccontare ai genitori le sue sensazioni di piacere e dispiacere.

Ogni alimento racconta una storia

Cultura, natura, paura, scoperta, appello, libertà, timidezza, desiderio, accettazione e rifiuto … La lista risulterebbe infinita, perché la parola “cibo” contiene un insieme particolare, una “ricetta unica”, per ogni soggetto e per ogni famiglia. Ciascuno dà a ogni alimento un senso proprio, ogni cibo racconta una storia. Ad esempio, vi siete mai chiesti che significato ha per voi proporre una mela a vostro figlio? Se la guardiamo, ci rendiamo conto di avere davanti un cibo in primo luogo solido, con una sua consistenza che si differenzia dunque dalle prime pappe: un alimento che non proviene dal corpo della mamma. Ma non è tutto qui! È un frutto che viene tradizionalmente presentato come foriero di benessere (“una mela al giorno toglie il medico di torno”) – e spesso viene descritto così a scuola, negli ambienti sportivi – ma il modo in cui il bambino si rapporta a questo alimento, accettandolo, rifiutandolo o attribuendogli un valore particolare, dipende anche dal significato emotivo e relazionale che ha per i genitori. Una torta di mele, ad esempio, può essere soltanto una torta… ma anche qualcosa di più! Se la madre, durante la preparazione, pensa a quando la nonna le preparava lo stesso piatto, nell’offrire questo dolce al figlio offrirà anche una parte di quella storia, di quell’amore che è passato tra le generazioni anche sotto forma di un semplice piatto.

Mangiare ha una moltitudine di significati culturali, familiari e soggettivi

Per un bambino, proprio in virtù della funzione comunicativa di cui abbiamo parlato prima, l’atto nutritivo può rappresentare il suo primo “discorso”, il primo modo per esprimere se stesso e le sue sensazioni. Mangiare o, invece, chiudere la bocca sono gesti che contengono più significati di quelli che mostrano: accettare rimanda alla fiducia in ciò che viene dall’altro e racconta di un benessere, mentre al contrario, rifiutare può implicare un dubbio, una sfiducia nell’altro, anche temporanea, e in quello che gli si sta offrendo.

Serve nutrire il cuore

Quando vi approcciate e partecipate all’importante relazione tra il vostro bambino e il cibo tenete a mente due parole: cuore e comprensione.

Il cibo sarà sempre, per la vita del soggetto, cibo per il cuore: una dieta che contiene ingredienti che possono riempire lo stomaco del bambino e quindi appagare il suo bisogno fisiologico, ma che non bastano per riempire il suo cuore. Per nutrire il cuore occorre una dieta speciale fatta di sguardi, coccole, calore, tono della voce, contatto corporeo.

Di fronte a un comportamento alimentare che interroga o preoccupa, è importante cercare di comprendere il significato che tale comportamento può avere per il bambino: un esempio è quello dei capricci, espressione frequente dell’infanzia e che si esprime spesso con un “no!”. Dentro a quel “no!”, a volte esagerato e ripetuto all’infinito, ci può essere tuttavia nascosto un “sì!”, un modo per il piccolo di tracciare un suo confine e di dire, così, “io esisto”.

A questa piccola parola, al “NO!”, sarà però dedicato un altro articolo, una nuova avventura che vivremo insieme, qui su Mamme Acrobate.
Per questa volta è tutto, alla prossima parola!

Per chi volesse approfondire, consigliamo il testo “Mangio o non mangio” di A. Mastroleo, P. Pace, Ed. Mondadori, 2015.

Articolo a cura di
Associazione Pollicino e Centro Crisi Genitori Onlus
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