In Italia, partorire senza dolore in un ospedale pubblico non è un diritto, ma un lusso che non tutti i nosocomi si possono permettere. Soltanto il 42 per cento dei reparti maternità in Italia, infatti, offre l’anestesia epidurale durante il travaglio, e solo il 16 per cento è in grado di assicurare questo servizio 24 ore su 24. Con grandi differenze tra regione e regione: in media l’orario continuato degli anestesisti al reparto di ostetricia è garantito nel 29 per cento delle strutture del Nord, nel 17 di quelle del Centro e nel 12 di quelle del Sud. Complessivamente, l’equo accesso alle prestazioni è salvaguardato appena nel 27 pe cento dei casi. Sono i dati raccolti dalla Associazione anestesisti rianimatori ospedalieri italiani (Aaroi-Emac), che annota come soltanto l’Emilia Romagna, il Veneto e la Lombardia abbiano una legge per assicurare il parto indolore.
Il fatto è che un parto senza dolore costa circa 1.500 euro in più rispetto a un parto senza anestesia, e quella quota in più non viene rimborsata dallo Stato, ma deve essere coperta dal fondo sanitario regionale. Quindi, non tutte le regioni possono permettersi di garantirlo. “La differenza di costo moltiplicata per tutte le nascite può rappresentare una cifra rilevante”, spiega Vincenzo Carpino, presidente di Aaroi-Emac: “Tanto che molte regioni del Sud, e in particolare quelle commissariate, hanno deciso di aspettare che lo Stato faccia rientrare il parto in analgesia tra i trattamenti rimborsati, come lo è il cesareo. Ma la proposta di legge in proposito, avanzata dall’ex ministro Livia Turco nel 2006, è congelata”. Non solo: a complicare le cose c’è la carenza di anestesisti rianimatori nell’organico degli ospedali; che nel Meridione si può dire cronica.
Ci sono poi i rischi che questa pratica comporta: gli stessi di un’anestesia per un intervento chirurgico addominale: cefalee acute, ipotensione e tachicardia. “Non è una passeggiata”, sottolinea Caprino: “Ma i rischi sono compensati da notevoli vantaggi: i muscoli pelvici vengono rilassati, la donna non soffre e può quindi partecipare e collaborare maggiormente al parto, e anche il bambino soffre meno”.
Fonte L’Espresso
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