Con il termine downshifting si indica un atteggiamento, meglio, un’attitudine sociale verso una vita più semplice, che rifugga il ritmo frenetico e ossessivo tipico dei nostri tempi.
Il tema centrale è il rapporto tra lavoro e vita privata e lo squilibrio che si è andato creando sempre più a favore del tempo dedicato al lavoro a scapito della vita privata, del tempo passato in famiglia e semplicemente a coltivare i propri interessi e, perché no, anche a oziare.
Questo fenomeno, già rilevante negli Stati Uniti, in Canada, Australia e Nuova Zelanda, sta prendendo piede un po’ alla volta anche in Europa e in Italia. Le figure lavorative più colpite sono quelle dei professionisti, uomini e donne indistintamente, che decidono di lasciare il proprio lavoro o semplicemente di ridurre il proprio orario di lavoro per poter godere di maggiore tempo libero e sopratutto per poterlo gestire a proprio piacimento.
Su un piano puramente pratico, a livello lavorativo, downshifting significa spesso minori entrate.
Dal concetto di vivere per lavorare si passa al concetto di lavorare per vivere. O meglio, lavorare quel tanto che basta per poter soddisfare le esigenze, diminuite e ridimensionate nell’ottica del nuovo stile di vita, e godersi appieno benefici meno materiali. I downshifter più radicali abbandonano il proprio lavoro e la propria posizione, rinunciando alla carriera, a favore di lavori meno impegnativi, magari vicino a casa o direttamente a casa, in modo da diminuire o addirittura annullare il tempo “sprecato” nello spostamento da casa al luogo di lavoro. Si tratta ovviamente di una scelta assolutamente personale nella quale gli attori del progetto si trovano a valutare costi e benefici: meglio lavorare sodo e accumulare soldi per poter fare le vacanze di lusso, prendere la macchinona e togliersi ogni sfizio oppure rinunciare all’ultimo modello di smart phone, rinunciare ad andare sempre in macchina a favore della bicicletta e lavorare di meno per avere più tempo da dedicare alla famiglia?
Entrambe le posizioni hanno pro e contro. Entrambe le posizioni hanno in sé vantaggi e rinunce.
La nuova figura del “mammo”
Una figura interessante di questo fenomeno sempre più crescente è quella del mammo, termine odioso utilizzato per indicare padri che si occupano dei propri figli, come se nel termine papà fosse implicito il disinteresse emotivo e pratico a favore del “foraggiamento” economico familiare. Questi mammi non sono altro che padri desiderosi di partecipare anche alla vita emotiva e non solo materiale dei propri figli. Per fare questo si prendono del tempo togliendolo al lavoro e portano i figli a scuola, cucinano, giocano, fanno la spesa senza per questo sentirsi insoddisfatti. Anzi. Riorganizzando il lavoro e quindi il tempo succede che oltre ad avere più tempo per i figli e la famiglia si scopre di avere tempo anche per coltivare i propri interessi e le proprie passioni.
Consumo consapevole
Il consumismo è fonte di stress e scontento. L’accumulo di oggetti materiali non solo non necessari ma addirittura superflui crea sempre nuovi bisogni, continuando ad alimentare questo circolo vizioso. La longevità degli oggetti viene drammaticamente accorciata sempre più dall’uscita di un “nuovo modello” che rende il nuovo acquisto obsoleto. Il bisogno di acquistare diviene un bisogno a sé stante, indipendente da quello che si compra.
Consumare in maniera consapevole significa, quindi, comprare solo il necessario dando priorità alla qualità più che alla quantità.
La chiave di accesso è re-imparare il valore di denaro e tempo: spendere il proprio tempo in maniera sensata e non buttare via i soldi in modo insensato.
La condivisione
Come fare allora ad abbassare il livello di consumo familiare e cominciare a fare downshifting? La comunità o meglio la condivisone è il cardine per il successo:
cohousing – ovvero condividere la casa. Che non significa vivere in comunità ma abitare in un palazzo/complesso/ condominio dove gli spazi sono condivisi. Con spazi non si intende solo spazi fisici ma anche temporali. Spazi comuni, impegno temporale barattato. Le abilità, le conoscenze e il tempo dei condomini vengono messe a disposizione di tutti gli altri in uno “scambio di favori” dove il denaro non entra in gioco. C’è chi può curare i bambini, chi è in grado di fare lavori di manutenzione, i turni delle pulizie vengono suddivisi. Provate solo a pensare al risparmio sui costi del nido, dell’idraulico, dell’elettricista…
baratto – ovvero scambiarsi le cose riducendo rifiuti e sprechi e dare nuova vita alle cose ormai abbandonate in un angolo. Esistono dei veri e propri incontri, gli swap party, nei quali i partecipanti si scambiano accessori, abiti, libri, musica ma anche servizi.
car sharing – ovvero condividere la macchina per spostarsi. Avete mai fatto il conto di quanto costi la macchina ogni anno in benzina, bollo, assicurazione e usura? Un po’ alla volta tutte le grandi città si stanno attrezzando con un servizio di car sharing ovvero di macchine delle quali si può usufruire pagando una quota di iscrizione all’anno per il servizio e l’utilizzo effettivo delle auto, senza doversi più accollare le spese di mantenimento della macchina. Oltre ad essere economicamente vantaggioso il car sharing ha anche un risvolto positivo per l’ambiente poiché favorisce un utilizzo più consapevole e meno indiscriminato della macchina.
Nel mondo anglosassone è stata istituita la settimana internazionale del downshifting, una campagna per aiutare le persone a rallentare il proprio ritmo e raggiungere un rapporto più equilibrato con la propria vita e il proprio lavoro.
Fu Tracy Smith nel 2003 a far partire questa campagna di “risveglio”
“un po’ di downshifting può avere un impatto molto potente sulla vostra salute fisica, sul vostro benessere mentale, sulla relazione con i vostri colleghi, la vostra famiglia e i vostri amici; può migliorare anche la vostra vita sessuale!”
Ecco i consigli dettati per la settimana del downshifitng:
1. Fare una lista degli acquisti ed eliminare le cose non necessarie
2. Tagliare la carta di credito
3. Evitare di comprare impulsivamente e compulsivamente per soddisfare la gratificazione del momento
4. Fare a mano le cose
5. Donare, riciclare o riutilizzare
6. Comprare cose di seconda mano di qualità
7. Acquistare cibi locali
8. Coltivare verdura e frutta e, se possibile, allevare animali come polli
Ovviamente alcune proposte sono estreme. Decidere di allevare polli in un appartamento in città per risparmiare sulle uova è un po’ complicato ma già coltivare qualche verdura sul balcone si può fare.
Downshifting significa anche preservare quel poco di verde e di natura che ci sono rimasti. Ricominciare a vivere nel rispetto dell’ambiente partendo dalle piccole cose, come eliminare l’uso di prodotti usa e getta, scegliere prodotti senza imballaggi, rinunciare alla macchina e fare qualche passo in più, evitare di fare le spesone che producono, inevitabilmente, tanto scarto abbandonato in frigo e rinvenuto irriconoscibile qualche settimana dopo, utilizzare le ciabatte elettriche dotate di interruttore per spegnere gli stand by degli elettrodomestici.
Downshifting è dunque un invito a riappropriarsi del proprio tempo e a farne qualcosa di buono.
Downshifting e Yoga
Esiste nella pratica yoga un concetto che si addice bene a questa concezione di vita: samtosa (pron. santosha).
Samtosa è una parola sanscrita che significa “ringraziamento, contentezza” e indica un atteggiamento positivo nei confronti della vita come regola del codice etico yogico. In pratica viene richiesto al praticante di essere felice. Tutto qui? No, assolutamente no. Dietro a samtosa si nasconde il concetto di accontentarsi.
Accontentarsi ha assunto per noi un’accezione negativa: accontentandoci noi ci abbassiamo a essere contenti di una cosa o di uno stato al quale in origine non aspiravamo in alternativa al massimo al quale puntavamo. Accontentarsi è invece un sentimento molto positivo che conduce ad una via di saggezza e felicità vere. Significa essere contenti di ciò che si ha e riconoscere il valore del sé e della propria percezione di quello che si ha, significa stare nel presente e non essere condizionati dagli stimoli esterni verso il bisogno, sempre crescente, di accumulo e adeguamento ad uno status quo dettato dai canoni sociali o dalle immagini della comunicazione commerciale.
Samtosa è questo stato di contentezza e appagamento che rende stabile e solido il baricentro emotivo del praticante yoga nel vortice di stimoli esterni all’accaparramento di beni e privilegi.
di Silvia Romani
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